Il 2021, per gli Stati Uniti, è stato tra le altre cose l’anno della Great Resignation. Come è possibile leggere in uno studio pubblicato sull’Harvard business review, a firma di Ian Cook, lo scorso luglio (stando ai numeri del Bureau of Labor Statistics degli Stati Uniti), 4 milioni di americani hanno deciso di lasciare il lavoro. Anche nei mesi precedenti il tasso di dimissioni negli USA era stato molto alto, con degli strascichi che si sono visti anche a fine estate: basti pensare che ad agosto 2021 il tasso di dimissioni è stato del 19% maggiore rispetto all’anno precedente. I motivi che hanno portato a questo eccezionale fenomeno sono vari, ma di certo un ruolo importante spetta alla pandemia, con la conseguente sindrome da burnout.

E in Italia? In Italia i numeri non sono stati certo impressionanti come quelli conosciuti oltreoceano; nonostante questo si è notata un’evidente crescita delle dimissioni volontarie.

Indubbiamente un ricambio delle risorse umane può portare vantaggi per un’azienda, che può così avvalersi di nuove idee e nuove competenze. Avere a che fare con un eccessivo turnover, però, può mettere quella stessa azienda in difficoltà: si pensi ai costi dei processi di ricerca di selezione del personale, ai tempi necessari per addestrare le nuove risorse e via dicendo. Per questo è fondamentale capire come fidelizzare i propri dipendenti, soprattutto ora che le dimissioni sembrano essere prese in considerazione da un numero sempre maggiore di persone, soprattutto tra i dipendenti di età compresa tra i 30 e i 45 anni.

Fidelizzare i dipendenti, le tecniche più efficaci di Employee Retention per il 2022

«L’esperienza insegna che è necessario attuare delle politiche Employee Retention fin da subitoe quindi fin dai primi giorni di inserimento in azienda delle nuove risorse: seguire un buon programma di onboarding dei nuovi talenti semplificherà di gran lunga il compito di chi è chiamato a fidelizzare i dipendenti. È durante quelle prime settimane, infatti, che gli assunti formulano la propria visione del contesto lavorativo», spiega Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati, società internazionale di head hunting specializzata nella selezione di personale qualificato e nello sviluppo di carriera.

É quindi fondamentale partire con il piede giusto, ma non è tutto qui.

«L’azienda che desidera ridurre il tasso di turnover deve avere la certezza di soddisfare le esigenze dei propri dipendenti» spiega Adami «e non si tratta, va sottolineato, solamente di una questione salariale. Anzi, molto spesso, soprattutto nel caso dei lavoratori più giovani, a fare la differenza sono i programmi formativi: chi desidera crescere e fare carriera guarda infatti di buon occhio la possibilità di accrescere le proprie conoscenze, opportunità che risulta talvolta più attraente di un aumento di stipendio», racconta ancora la Adami.

L’emergenza sanitaria ha poi messo in evidenza quanto sia necessario offrire un supporto ai dipendenti, in modo da trovare un soddisfacente equilibrio tra sfera professionale e sfera personale.

«Questo delicato equilibrio si raggiunge aumentando la flessibilità, optando per dei benefit in luogo degli aumenti di stipendio (con i noti vantaggi fiscali)».

Una buona strategia di Employee Retention può quindi ridurre in modo concreto il tasso di dimissioni, aumentando parallelamente la produttività.

«Ovviamente non esiste una strategia che possa eliminare completamente le dimissioni. È premiante però essere in grado di individuare i segnali di insoddisfazione dei propri dipendenti, così da poter agire tempestivamente per mantenere il talento in azienda, attraverso una nuova collocazione, nuove responsabilità e via dicendo», conclude Carola Adami.

Redazione