Costruire radici tanto forti da essere certi che l’albero, per quanto alto possa diventare o per quante intemperie possa affrontare, non cadrà mai. È questo il concetto, tanto semplice quanto autentico, alla base dell’idea di Organization Design: una metodologia di analisi delle organizzazioni che parte dalle fondamenta e che si pone l’obiettivo di revisionare e migliorare i processi propri di realtà e imprese. Il design organizzativo si riferisce infatti al modo in cui un’azienda funziona: una buona progettazione organizzativa parte da una revisione dei processi e delle funzioni di gestione del gruppo, cercando di ridurre la distanza fra aspettative individuali e obiettivi organizzativi.
La funzione analitica dell’Organization Design ha quindi, come scopo ultimo, quello di definire modelli e tecniche che le organizzazioni possono provare a seguire in quel processo di costruzione e progettazione delle proprie fondamenta senza il quale sarebbe impossibile raggiungere i propri obiettivi.
Più comunemente, l’idea di fondo del design organizzativo è quella di andare a scavare la “parte più bassa dell’iceberg”, il dietro le quinte di un’azienda che esiste “sotto la linea della visibilità”, il modo in cui essa opera e che le permette di mostrare all’esterno quello che è il prodotto finale, cioè la punta dell’iceberg.
“There is no one best way to organize… Any way of organizing is not equally effective” diceva Jay R. Galbraith, autorevole teorico organizzativo americano, a testimonianza del fatto che non esiste un modello universalmente valido e utilizzabile in maniera indiscriminata da tutte le organizzazioni: l’Organization Design parte proprio da questa consapevolezza e punta a migliorare l’intero ecosistema interno di un’azienda, partendo dalle basi e secondo principi ed equilibri che sono propri di ogni realtà e che variano a seconda di quale essa sia. Con basi solide, strutturate secondo un metodo, il progresso diventa una naturale conseguenza. Il design organizzativo è un’idea rivoluzionaria, che dovrà sempre più permeare l’economia italiana e che ogni azienda dovrebbe apprendere e fare sua, a seconda delle proprie esigenze. Perché, come affermava Jay R. Galbraith, non esiste un modo migliore per organizzarsi, ma varia invece a seconda del contesto in cui ciascuna organizzazione esiste.
L’Organization Design comprende cinque fattori comuni che afferiscono alle realtà aziendali, che si influenzano reciprocamente e che non possono essere considerati individualmente: la strategia, nonché la direzione, gli obiettivi e la mission aziendale; le persone, con particolare attenzione alle loro caratteristiche, le loro capacità e le loro aspettative; la struttura, ovvero la distribuzione del potere, la divisione del lavoro e l’insieme delle relazioni tra persone; i processi, cioè la sequenza di attività e il passaggio formale delle informazioni tra persone; i sistemi di ricompensa, cioè gli strumenti di riconoscimento del lavoro svolto.
È chiaro, quindi, come il design organizzativo vada a mettere insieme più sfaccettature di un’azienda o di un processo aziendale, tenendo conto dei diversi punti di vista che si possono avere su una stessa organizzazione: allo stesso modo in cui, banalmente, ognuno di noi potrebbe avere una prospettiva diversa su come si svolge un’attività semplice come preparare un panino, così nell’analisi di un’organizzazione dobbiamo tenere conto di diversi punti di vista. L’aspetto più innovativo si cela dietro al comprendere come il design organizzativo si possa applicare, ad esempio, alla costruzione di un team di lavoro.
La costruzione di un team secondo i principi di Organization Design implica un processo che supera le gerarchie interne e le strutture piramidali delle aziende. Facendo riferimento, in particolare, alla costruzione di team di innovazione all’interno di strutture organizzative già consolidate, si possono identificare 3 fasi propedeutiche alla creazione di un team.
Si parte sempre dalle persone, cercando di capire come costruire il sistema più adatto intorno a loro non viceversa: si cerca quindi di individuare i modelli comportamentali delle persone. Si studiano le caratteristiche di ogni individuo, l’attitudine, i modelli mentali e i punti di forza delle singole figure da inserire nel team. Questo primo step ha l’obiettivo di formare un gruppo di persone eterogeneo, che abbia una visione completa sulla realtà organizzativa, sui suoi obiettivi e sulle sue direzioni, senza distaccarsi troppo dalla realtà operativa quotidiana: tutto questo è reso possibile attraverso una profonda analisi delle relazioni informali interne all’organizzazione svolta attraverso specifiche tecniche.
Più nello specifico, i profili individuali primari che vanno a delinearsi sono tre: chi è più votato all’azione, è consapevole delle modalità di lavoro organizzative e sa bene come trasformare delle idee in qualcosa di concreto, chi ha una maggiore capacità di definire scenari, servizi o prodotti del domani, con un occhio verso evoluzioni potenziali; infine, chi pone maggiore attenzione alla creazione di un ambiente di lavoro positivo, ha contatti capillari nell’azienda e funge da cassa di risonanza per la diffusione di pratiche e informazioni.
Segue quindi la seconda fase: dopo lo studio e l’analisi delle caratteristiche di ciascuno degli individui dell’organizzazione, si determinano le persone che andranno a comporre il team in base agli obiettivi che si vogliono raggiungere.
Se si vuole costruire un team di innovazione, ad esempio, si cercherà di avere un team con un mix equilibrato delle caratteristiche sopra citate: i più visionari proporranno soluzioni o idee innovative; i più operativi proporranno modalità concrete di implementazione delle soluzioni; i più sociali renderanno possibile la collaborazione all’interno del team e faciliteranno la raccolta di feedback dal resto dell’organizzazione
Ultima, ma non per questo meno importante, fase è proprio quella in cui si passa alla costruzione della struttura, delle modalità di collaborazione e interazione del team e dei processi che verranno osservati dal team.
Senza entrare troppo nel dettaglio dei processi è sufficiente comprendere che questi ultimi devono ancora una volta essere centrati sulle persone, concentrandosi questa volta però sui fruitori finali del prodotto o servizio dell’organizzazione: prima di progettare è fondamentale ricordarsi per chi si sta progettando. Questo è proprio il primo dei processi che viene strutturato, ovvero l’analisi dei bisogni dei consumatori per costruire profili e modelli mentali dei clienti che possono racchiudere e raccontare le loro aspettative, spesso molto diverse.
A questa costruzione seguono tutti quei processi attraverso cui vengono prima ideate nuove soluzioni, che vengono poi rese tangibili e infine testate sul campo tramite piccoli esperimenti che vedono il diretto coinvolgimento di alcuni clienti.
Questo modello di costruzione “persona-centrico” dell’organizzazione e dei suoi team è l’unico che permette di costruire prodotti e servizi veramente “utente-centrici” perché, come ci ricorda Melvin Conway “le organizzazioni che progettano sistemi, prodotti e servizi (…) sono indotte a generare design di sistemi, prodotti e servizi che sono copie dei legami e delle relazioni presenti nelle organizzazioni stesse”. Un’organizzazione che voglia quindi prosperare nell’era della Customer Centricity, progettando prodotti e servizi a misura di utente, deve prima di tutto essere progettata facendo in modo che siano i bisogni e le caratteristiche delle sue persone a determinare le caratteristiche dell’Organizzazione stessa. Uno dei principi chiave che stanno alla base del concetto di Organization Design.