- In Italia si fa troppa formazione.
- Questi accordi stato-regioni servono solo ad arricchire gli enti di formazione, a nient’altro!
- Non capisco perché devo spendere tanto in DPI se poi i miei dipendenti non li usano nemmeno.
- Perché se un operaio, che ha fatto il corso di Formazione Specifica Alto rischio nel 2019, oggi cambia azienda (e spesso anche settore Ateco) è costretto a rifare lo stesso corso, seppure non sia ancora scaduto?
Queste sono solo alcune delle frasi che ho sentito in questi anni dai lavoratori e imprenditori durante il mio percorso professionale. Direi tuttavia che si possano riassumere in due grandi domande.
Come mai si fa così tanta formazione, ma gli infortuni e le morti sul lavoro non diminuiscono?
È innegabile dire che in questi ultimi 10 anni diverse società che si occupano di formazione in ambito sicurezza siano sorte come funghi; tant’è che ormai i corsi si scelgono quasi esclusivamente in base al fattore prezzo e questo porta con sé in molti casi un appiattimento della qualità.
Se da un lato questo ha incrementato la sfiducia nei confronti della formazione, dall’ altro, a volte, gli si “affida troppa responsabilità”, pensando che un corso possa insegnare al tuo magazziniere a guidare correttamente un carrello elevatore o a cambiare la mentalità e correggere le abitudini sbagliate di lavoratori/imprenditori.
Ma cosa può fare un corso di una o due giornate, contro la consuetudine a scegliere le strade più facili e veloci, che però sacrificano la sicurezza dei lavoratori?
Spesso ci dimentichiamo il terzo passo fondamentale, che accompagna ogni cambiamento: oltre all’Informazione e alla Formazione non possiamo tralasciare l’importanza dell’Addestramento.
Questo ultimo passaggio è spesso lasciato sulle spalle delle aziende, che devono proseguire il percorso formativo di un lavoratore senza capire bene come attivarsi. Tornando all’esempio del carrellista, che è appena tornato in azienda orgoglioso del suo attestato, non si può pensare che con un corso di 12 ore sia autonomo e possa operare senza alcun ulteriore monitoraggio. Al contrario, sarà indispensabile che qualcuno in azienda lo affianchi, in modo che possa applicare al meglio quello che ha imparato, completando il suo addestramento con le indicazioni di sicurezza aziendali e facendo suo il Modus Operandi più corretto da seguire.
Non è meglio raggiungere gli obiettivi di budget/produzione, rinunciando a qualche cavillo piuttosto che vincolarsi a tutte le norme di sicurezza che spesso portano le aziende sul lastrico?
In questo modo sembra che la colpa debba sempre ricadere sull’avido Datore di lavoro o sui fedelissimi responsabili aziendali.
Ma non sempre è colpa dei dirigenti, che chiedono troppo alle macchine o ai lavoratori, tanto da togliere i blocchi sicurezza pur di guadagnare maggiormente: molto spesso è la troppa confidenza del lavoratore con la propria attività quotidiana a “farla pagare”. E proprio nel momento in cui si pensa di essere bravi ed esperti da potersi permettere qualche scorciatoia (apparentemente per semplificarsi la vita), ci scappa l’incidente.
A questo punto, se la colpa è di tutti, come facciamo a invertire la rotta e cambiare il comportamento umano?
Chissà che la storia dei controlli del Green Pass non ci dia l’input a renderci tutti più responsabili, non solo nei confronti di una malattia pandemica momentanea, ma anche contro quella piaga endemica degli infortuni sul lavoro?
Forse una maggiore responsabilità (a cui deve per forza corrispondere anche un maggior potere) di chi deve vigilare sui comportamenti dei lavoratori all’interno della stessa azienda, non potrebbe incentivare questo cambio di rotta? Tuttavia, non credo che basti questo. Ci deve essere una diffusa sensibilizzazione tra tutti i lavoratori di un’impresa: dal suo responsabile fino all’ultimo arrivato.
E la nostra missione è proprio questa: aiutarvi a “diffondere la cultura della sicurezza” (Cit. Antonio C. Baroni).
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