In Italia, i livelli di istruzione della popolazione sono in aumento ma restano ancora inferiori a quelli medi europei; sul divario incide la bassa quota di titoli terziari.
Il vantaggio occupazionale dei laureati è decisamente in crescita.
Rispetto agli uomini, le donne conseguono più elevati livelli di istruzione e maggiori vantaggi occupazionali al crescere del livello di istruzione ma i tassi di occupazione restano ampiamente inferiori.
Tra i 25-64enni il 61,7% ha almeno il diploma e il 19,3% un titolo terziario.
In Italia livello di istruzione più basso di quello medio europeo
La quota di popolazione di 25-64 anni con almeno un titolo di studio secondario superiore è il principale indicatore per valutare il livello di istruzione formale conseguito in un Paese. Il diploma è infatti considerato il livello minimo indispensabile per acquisire le competenze di base richieste nella società attuale e, ragionevolmente, anche nella futura.
In Italia, la quota di 25-64enni in possesso di almeno un titolo di studio secondario superiore è stimata pari a 61,7% nel 2018 (+0,8 punti percentuali sul 2017), un valore molto inferiore a quello medio europeo, pari a 78,1% (+0,6 punti sul 2017). Su questa differenza incide la bassa quota di 25-64enni con un titolo di studio terziario: meno di due su dieci in Italia (19,3%, +0,6 punti rispetto all’anno precedente) contro oltre tre su dieci in Europa (32,3%, +0,8 punti rispetto all’anno precedente). Il trend degli ultimi anni è positivo; tuttavia, tra il 2014 e il 2018 la quota di popolazione con laurea ha avuto una crescita più contenuta di quella Ue (2,4 punti contro 3,0 punti).
Più alti e in rapido aumento i livelli di istruzione femminili
Tra i maggiori paesi europei, Italia e Spagna hanno in comune il marcato vantaggio delle donne nei livelli di istruzione. Nel nostro Paese, le donne almeno diplomate sono il 63,8% contro il 59,7% degli uomini mentre la differenza di genere nella media Ue è meno di un punto percentuale. Sul fronte del titolo di studio terziario, il vantaggio femminile – evidente anche nella media europea – è comunque più accentuato in Italia: 22,1% e 16,5% le quote femminili e maschili. I livelli di istruzione femminili sono peraltro aumentati più velocemente nel tempo: in quattro anni si registrano +2,8 punti per le donne almeno diplomate (contro +2,1 punti per gli uomini) e +3,2 punti per le laureate (contro +1,6 punti).
Forti differenze territoriali, più marcate per la componente femminile
Sul territorio nazionale il più basso livello di istruzione si riscontra nel Mezzogiorno, dove poco più di un adulto su due ha conseguito almeno il diploma di scuola secondaria superiore; al Centro si stima invece il valore più alto, oltre due adulti su tre. Situazione analoga si rileva per il livello di istruzione terziario, ancora una volta minimo nel Mezzogiorno (15,3%) e massimo al Centro (23,3%). Le differenze territoriali permangono indipendentemente dal genere, ma sono più marcate per la componente femminile. Tra il 2014 e il 2018 le quote di adulti almeno diplomati e laureati sono aumentate di più al Nord mentre nel Mezzogiorno l’incremento dei laureati è risultato piuttosto esiguo.
Aumenta il divario tra i livelli di istruzione di italiani e stranieri
Il divario nei livelli di istruzione è molto ampio guardando la cittadinanza delle persone. Tra gli stranieri solo il 47,9% ha conseguito almeno il diploma di scuola secondaria superiore (o equivalente) e soltanto il 12,4% possiede un titolo terziario, a fronte del 63,3% e del 20,1% registrato tra gli italiani.
Il gap di cittadinanza è grande anche in Europa, soprattutto in Francia e Germania. Fanno eccezione il Regno Unito, dove il livello di istruzione degli stranieri è superiore a quello dei cittadini inglesi, e la Spagna, che presenta quote di cittadini almeno diplomati piuttosto simili tra stranieri e locali.
A differenza di quanto accaduto in altri paesi europei, in Italia questo divario è cresciuto nel tempo. Restringendo l’osservazione all’ultimo quadriennio, la quota di coloro con almeno il titolo secondario superiore si è molto ridotta tra gli stranieri (-5,3 punti; +0,7 punti nella media Ue) e al tempo stesso è aumentata di poco la quota di chi ha un titolo terziario (+0,9 punti; +2,2 punti nella media Ue).
Giovani più istruiti ma resta lo svantaggio con il resto d’Europa
Le differenze generazionali nei livelli di istruzione sono evidenti da molti punti di vista. Sicuramente i più giovani sono anche i più istruiti: si consideri ad esempio che il 75,9% dei 25-34enni ha almeno il diploma di scuola secondaria superiore contro il 47,9% dei 60-64enni. Rimane tuttavia forte, anche tra le classi di età più giovani, lo svantaggio dell’Italia rispetto al resto d’Europa come pure il divario territoriale all’interno del Paese.
Questi dati mettono in luce la permanenza di una forte criticità nel raggiungere l’obiettivo di portare tutti i giovani a conseguire adeguati livelli di istruzione e, di conseguenza, nel garantire pari opportunità di accesso a buone condizioni sociali e professionali.
In crescita la quota di giovani che abbandonano gli studi
L’Italia mostra notevoli progressi sul fronte degli abbandoni scolastici. Tuttavia, la quota di 18-24enni che posseggono al più un titolo secondario inferiore e sono fuori dal sistema di istruzione e formazione (Early leavers from education and training – ELET) sale al 14,5% nel 2018 (598 mila giovani) dopo la stazionarietà del 2017 e il sensibile calo registrato fino al 2016.
Questo indicatore rientra tra quelli previsti dalla Strategia Europa2020 sull’istruzione, che fissa il target europeo al 10%. Tale obiettivo è vicino per la Ue28 e per il Regno Unito e la Germania mentre in Francia è stato superato da diversi anni. In Italia, il differenziale rispetto al valore medio europeo è ancora pari a -3,9 punti nel 2018.
L’uscita precoce dagli studi è decisamente più accentuata per i giovani stranieri – 37,6% contro 12,3% degli italiani – per i quali nell’ultimo anno si registra un peggioramento (+4,5 punti contro +0,2 punti negli italiani) dopo i progressi degli anni precedenti. Questo aumento è diffuso nelle aree territoriali e indipendente dal genere.
Le giovani donne sono invece meno frequentemente coinvolte nel fenomeno dell’abbandono scolastico precoce rispetto ai coetanei (12,3% contro 16,5%) malgrado il peggioramento nell’ultimo anno (+1,1 punti), in particolare per le straniere.
Il profilo territoriale mette in luce divari molto ampi: l’abbandono degli studi prima del completamento del sistema secondario superiore o della formazione professionale raggiunge il 18,8% nel Mezzogiorno, scende al 12,2% nel Nord e registra il minimo al Centro (10,7%).
Dal 2014, il miglioramento più consistente si è avuto nel Centro mentre il peggioramento dell’ultimo anno riguarda il Nord (+0,9 punti) e il Mezzogiorno (+0,3 punti). Di fatto, ciò ha riportato il valore del Nord a un livello simile a quello del 2014. In generale, i divari territoriali non accennano a ridursi.
Italia penultima tra i Paesi dell’Unione per giovani laureati
Il secondo target relativo all’istruzione della strategia Europa2020 riguarda l’innalzamento al 40% della quota di 30-34enni in possesso di un titolo di studio terziario. Questo obiettivo è giudicato fondamentale nella “società della conoscenza”, per stimolare la crescita economica e rendere compatibile crescita e inclusione sociale.
Con un valore stimato al 40,7%, l’Unione europea ha complessivamente raggiunto nel 2018 l’obiettivo strategico, Francia, Spagna e Regno Unito lo hanno superato già da diversi anni mentre in Italia tale quota è al 27,8%. Malgrado il miglioramento dell’ultimo anno (+0,9 punti sul 2017) e una crescita superiore a quella media europea tra 2014 e 2018 (+3,9 punti contro +2,7 punti) il nostro Paese si posiziona al penultimo posto nell’Ue.
La bassa quota di giovani in possesso di un titolo di studio terziario risente anche della mancanza di una efficace alternativa ai corsi di laurea. I corsi terziari di ciclo breve professionalizzanti (corrispondenti al livello 5 della ISCED2011), non sono molti diffusi in Italia, al contrario di quanto accade, ad esempio, in Spagna e Francia dove circa un terzo dei titoli terziari posseduti dai 30-34enni ha queste caratteristiche.
Per i giovani stranieri il divario con la media europea è ancora più marcato. Nel 2018, solo il 12,9% dei 30-34enni stranieri ha un titolo terziario a fronte del 31% dei coetanei italiani e del 37,5% della media Ue, a conferma del fatto che l’Italia attrae stranieri poco istruiti. Il gap di cittadinanza è inferiore ai 4 punti nella media Ue, intorno agli 8 punti in Francia, praticamente assente in Germania e a favore degli stranieri nel Regno Unito. La Spagna, pur avendo un differenziale piuttosto elevato (15,8 punti), ha comunque una quota di giovani stranieri con titolo terziario molto più consistente rispetto a quella registrata in Italia.
Il differenziale di genere a favore delle donne è molto forte in Italia: è laureata oltre una giovane su tre a fronte di un giovane su cinque, un vantaggio superiore a quello medio europeo, anche se nell’ultimo anno il miglioramento ha riguardato solo i ragazzi (+1,9 punti percentuali) dopo anni di incrementi più sostenuti per le ragazze.
Anche in questo caso il divario territoriale è alquanto accentuato. La quota di 30-34enni laureati, già contenuta nel Nord (32,5%) e nel Centro (29,9%), scende al 21,2% nel Mezzogiorno. Il differenziale territoriale – in progressivo aumento negli anni – ha subito un’accelerazione nell’ultimo quadriennio in conseguenza di una maggiore crescita di laureati nel Nord e di un calo nel Mezzogiorno (-0,4 punti) registrato nel 2018 per la prima volta dopo molti anni.
Ancora forte lo svantaggio femminile tra i laureati in discipline scientifiche
Nel 2018, la percentuale di 30-34enni con una laurea nelle aree disciplinari STEM (Science, Technology, Eengineering and Mathematics) è stimata pari al 25,3% ma è forte il divario di genere: 37,8% tra i ragazzi e 17,3% tra le ragazze. Le proporzioni si rovesciano nell’area umanistica e servizi dove le laureate sono il 28,6% e i laureati il 13,7%; rilevante anche la differenza nell’area medicina e farmacia (16,7% di donne contro 13,1% di uomini) mentre si rilevano quote piuttosto simili in quella economica e giuridica (37,4% delle ragazze e 35,4% dei ragazzi). La quota di laureati in discipline STEM è inoltre più bassa nel Mezzogiorno (23,3%) rispetto al Nord e al Centro (26,0%).
Nel confronto europeo, la quota di 25-34enni laureati nelle discipline STEM è solo leggermente più contenuta in Italia (23,9%) rispetto alla media Ue22 (Paesi membri OCSE) (25,9%). Differenze più marcate si rilevano però nel confronto con alcuni dei principali Paesi europei – 26,9% in Francia; 31,9% in Germania; 29,1% in Spagna – dovute esclusivamente alla componente maschile. In Italia ha una laurea in discipline scientifiche poco più di un giovane su tre (36,4%) a fronte di uno su due in Germania e Spagna e a poco meno di uno su due in Francia.
Aumenta il vantaggio occupazionale della laurea rispetto al diploma
Nel 2018 si stima che il differenziale nei tassi di occupazione tra le persone laureate di 25-64 anni e quelle che posseggono al più un titolo secondario inferiore sia di 28,6 punti (29,0 punti nella media Ue). Il premio dell’istruzione – inteso come maggiore occupabilità al crescere dei livelli di istruzione
– è pari a 18,4 punti nel passaggio dal titolo secondario inferiore al titolo secondario superiore e a 10,2 punti nel confronto tra quest’ultimo e il titolo terziario (19,6 e 9,4 punti, i rispettivi valori Ue).
Tra il 2014 e il 2018, periodo di ripresa economica, è aumentato il vantaggio occupazionale dei laureati rispetto ai diplomati (+2,2 punti) mentre si è ridotto il vantaggio del titolo secondario superiore rispetto a quello inferiore (-1,8 punti). Questa tendenza ricalca quella osservata durante il periodo di crisi economica 2008-2014. Per i diplomati il risultato del periodo più recente è ascrivibile alla più debole ripresa occupazionale, negli anni della crisi era invece legato a una maggiore perdita di posti di lavoro.
Il vantaggio occupazionale di un elevato livello di istruzione è decisamente più marcato per la componente femminile, soprattutto in Italia. Le donne con un titolo secondario superiore hanno un tasso di occupazione di 25 punti maggiore rispetto alle coetanee con basso livello di istruzione (vantaggio doppio rispetto a quello degli uomini), e la differenza tra laurea e diploma è di 16,7 punti (scarto oltre tre volte maggiore di quello maschile).
Su questi marcati “premi” occupazionali a vantaggio delle donne incide la maggiore spendibilità nel mercato del lavoro dei titoli di studio più alti; i tassi di disoccupazione calano, infatti, dal 16,2% al 10,0% e fino al 6,7%, rispettivamente per basso, medio e alto titolo di studio. Tuttavia, appare determinante anche la maggiore volontà di partecipazione al mercato del lavoro al crescere del livello di istruzione: i tassi di inattività scendono dal 57,1%, al 32,5% fino al 16,9%.
Il differenziale occupazionale tra chi possiede una laurea e chi ha un diploma è peraltro cresciuto di più per la componente femminile nell’ultimo quadriennio. I massimi vantaggi occupazionali dell’istruzione si osservano nel Mezzogiorno, dove vi sono le maggiori criticità. In particolare per le donne residenti in queste zone possedere un titolo di studio terziario è importante per una maggiore partecipazione al mercato del lavoro. Accrescere l’istruzione, e quindi le opportunità che offre, rappresenta pertanto un modo per ridurre i divari e le disuguaglianze.
Nonostante in Italia i vantaggi occupazionali derivanti dai più alti livelli di istruzione siano simili a quelli registrati nella media Ue, i tassi di occupazione restano più bassi, quelli di disoccupazione più alti e permangono divari di genere e sul territorio.
Più deboli i vantaggi occupazionali tra i giovani con titoli di studio medio-alti
Restringendo il campo di osservazione ai giovani 30-34enni, il tasso di occupazione è al 56,5% per coloro con al più un titolo secondario inferiore, sale al 69,5% per quelli in possesso di un titolo secondario superiore e raggiunge il 78,4% per i giovani con titolo terziario. L’incremento del tasso di occupazione al crescere del livello di istruzione resta dunque importante; il premio occupazionale risulta pari a 13,0 punti nel passaggio tra basso e medio livello di istruzione, a 8,9 punti tra medio e alto.
Tuttavia, il confronto con la popolazione adulta mette in luce che negli anni più recenti i vantaggi occupazionali dei titoli di studio medio-alti sono più deboli nel nostro Paese. Le criticità del mercato del lavoro giovanile italiano sono confermate dal confronto tra i tassi di occupazione dei giovani italiani con quelli dei coetanei europei; questi ultimi hanno infatti tassi di occupazione del 61,0%, 80,3% e 87,4% rispettivamente per basso, medio e alto titolo di studio.
Infine, anche nelle generazioni più giovani le donne registrano vantaggi occupazionali molto forti al crescere del livello di istruzione ma il tasso di occupazione femminile resta inferiore anche per le laureate (75,0% contro l’83,7% dei laureati).
L’area disciplinare della laurea influenza gli esiti occupazionali
La condizione occupazionale dei 30-34enni laureati varia a seconda dell’area disciplinare del titolo di studio conseguito. Il tasso di occupazione raggiunge il livello più alto per medicina e farmacia (85,3%), seguono le lauree nell’ambito scientifico e tecnologico, le cosiddette STEM (82,3%), quelle nell’area socio-economica e giuridica (78,1%) e infine i titoli dell’area umanistica e servizi (71,6%).
Il vantaggio di una laurea in medicina e farmacia rispetto a una laurea STEM è massimo nel Mezzogiorno. Appare chiaro che le opportunità occupazionali risentono del tessuto produttivo dell’area geografica di residenza. Il sottoutilizzo del capitale umano giovanile nel Mezzogiorno si estende anche ai profili più qualificati e in possesso di competenze tecnico scientifiche. In un mercato del lavoro più dinamico e vivace tali skill sarebbero i più appetibili e i più ricercati dalle imprese.
Infine, la differenza di genere nei ritorni occupazionali – a sfavore delle donne – è massima per le lauree economico-giuridiche, è marcata anche tra i laureati in discipline scientifiche mentre tende ad annullarsi tra i laureati nelle discipline umanistiche e medico-farmaceutiche.
Giovani non occupati e non in formazione: stabile la distanza dal resto dell’Europa
Da diversi anni a livello europeo si è posta l’attenzione sui giovani non più inseriti in un percorso scolastico/formativo e neppure impegnati in un’attività lavorativa, i cosiddetti NEET (Neither in employment nor in Education and Training). Per questi giovani – che hanno caratteristiche e motivazioni di base estremamente eterogenee – il protrarsi di tale condizione può comportare il rischio di concrete difficoltà di reinserimento.
Si stima che nel 2018 i giovani di 15-29 anni non occupati e non in formazione siano 2 milioni e 116 mila in Italia (23,4%); di questi, il 39,2% cerca attivamente un lavoro, il 30,0% fa parte delle forze di lavoro potenziali (cfr. Glossario) mentre il restante 30,8% non cerca un impiego e non sarebbe disponibile a lavorare
Dopo il costante aumento registrato dall’inizio della recessione, la quota di NEET in Italia ha cominciato a scendere a partire dal 2015, in concomitanza con la ripresa economica (-2,8 punti nell’ultimo quadriennio, -0,7 punti nell’ultimo anno); tuttavia, il valore resta ancora quattro punti superiore a quello del 2008 (19,3%).
Nonostante il miglioramento degli ultimi anni, la quota di NEET è ancora la più elevata tra i Paesi dell’Unione (23,4% contro 12,9% della Ue28). Il calo registrato nell’ultimo quadriennio in Italia è infatti in linea con il trend europeo e lascia sostanzialmente invariata la distanza – ampliata durante la crisi economica – con la media Ue.
L’incidenza dei NEET è massima tra i diplomati
Nel 2018, l’incidenza dei NEET è pari al 24,8% tra i diplomati, al 22,7% tra chi ha al più un titolo secondario inferiore mentre scende al 20,2% tra i laureati.
Negli anni della crisi economica e fino al 2014 la crescita dei NEET ha coinvolto principalmente i giovani con medio e alto titolo di studio. Negli ultimi quattro anni alla ripresa economica si è invece affiancato un deciso calo dell’incidenza di NEET tra i laureati (-6,2 punti), una diminuzione significativa tra i diplomati (-3,5 punti) e una più contenuta tra i giovani con al più la scuola secondaria inferiore (-1,2 punti). Nonostante il recente recupero, sono proprio i laureati e ancor più i diplomati a registrare nel 2018 un’incidenza di NEET ancora marcatamente superiore a quella del 2008.
La quota di NEET è minima tra i 15-19enni (11,2%) – in gran parte ancora studenti – e raggiunge il 30,9% tra i 25-29enni. Tra i 15-19enni, un NEET su due è alla ricerca, più o meno attiva, di un lavoro, percentuale che sale al 76,1% tra i 20-24enni ed è pari al 68,8% tra i 25-29enni.
Tra le donne, la quota di NEET è del 25,4% (21,5% per gli uomini) ma quelle interessate a lavorare sono il 60,8% contro il 78,5% degli uomini. Il miglioramento registrato nell’ultimo quadriennio è più deciso per la componente maschile che, d’altronde, aveva sperimentato la crescita più alta durante la crisi.
Nel Mezzogiorno l’incidenza dei NEET è più che doppia (33,8%) rispetto al Nord (15,6%) e molto più alta di quella rilevata al Centro (19,6%). Anche il miglioramento registrato dal 2015 è stato più forte al Centro-nord (-3,2 punti nel Nord, -2,9 punti nel Centro, -2 punti nel Mezzogiorno) ampliando così il differenziale territoriale. Peraltro, nel Mezzogiorno il gruppo dei NEET interessati a entrare o rientrare nel mercato del lavoro (75,1%) è più numeroso di quelli del Nord (60,4%) e del Centro (64,4%).
Tra gli stranieri i NEET sono il 33,5% contro il 22,2% degli italiani. Tale differenza è dovuta quasi esclusivamente alla componente femminile (23,2% e 43,5% le quote di italiane e straniere) mentre è praticamente nulla tra gli uomini (1,4 punti).
In leggera ripresa l’occupazione tra chi ha abbandonato precocemente gli studi
Gli abbandoni precoci dal sistema di istruzione e formazione – il fenomeno degli Early Leavers from Education and Training (ELET) – riveste una grande importanza a livello europeo, anche per il vantaggio che più elevati livelli di istruzione offrono in termini di inclusività nel mercato del lavoro.
Nel 2018, tra quanti abbandonano precocemente gli studi si stima che lavori un giovane su tre. Il tasso di occupazione degli ELET, dopo il forte calo registrato durante la crisi economica, ha mostrato segni di miglioramento solo nel 2018 (+2,1 punti rispetto al 2017) senza differenze di genere o di cittadinanza ma confermando i divari territoriali: l’aumento è stato di 8,7 punti al Centro, di 3,3 punti nel Nord mentre nel Mezzogiorno si è registrata un’ulteriore flessione (-1,2 punti).
Rispetto alla media europea, il tasso di occupazione degli ELET è significativamente più basso nel nostro Paese. Il differenziale, pari a 12,6 punti nel 2018, è aumentato fortemente durante la crisi economica – a causa del più sostenuto calo occupazionale in Italia – e ha continuato ad ampliarsi anche durante la ripresa.
Nel 2018, il recupero occupazionale tra chi ha abbandonato precocemente gli studi è associato in Italia a una leggera riduzione della quota di disoccupati e di forze di lavoro potenziali (-1,8 punti rispetto al 2017). La quota di giovani interessata a lavorare è cresciuta moltissimo durante il periodo di crisi (+20,3 punti dal 2008 al 2014) e nel 2018 è ancora pari al 46,6%.
Tra i giovani che hanno abbandonato precocemente gli studi, il tasso di occupazione è pari al 39,5% per i ragazzi e al 25,1% per le ragazze. È dunque importante tenere presente che il vantaggio femminile, in termini di minori abbandoni scolastici precoci, viene meno quando poi si considera la quota di quante, avendo abbandonato gli studi, sono inserite nel mondo del lavoro rispetto a coloro che rimangono ai margini.
Le disparità territoriali nelle opportunità lavorative sono ampie. Il tasso di occupazione dei giovani che abbandonano gli studi è pari al 46,4% al Nord, al 46,3% al Centro e scende al 21,0% nel Mezzogiorno. Nel Centro-Nord il mancato proseguimento degli studi si accompagna dunque a un numero più consistente di giovani occupati; nelle regioni meridionali – dove peraltro è molto più alta l’incidenza degli abbandoni – gli ELET occupati sono una quota davvero esigua.
Tra gli stranieri, la quota di giovani che abbandonano precocemente gli studi presenta un tasso di occupazione più alto di quella degli omologhi italiani (41,5% contro 31,3%).
Rallenta il miglioramento nella transizione scuola-lavoro di diplomati e laureati
Per monitorare il momento della transizione dalla scuola al lavoro viene utilizzato il tasso di occupazione dei 20-34enni non più in istruzione e formazione che hanno conseguito un titolo di studio secondario, superiore o terziario, da uno a tre anni prima della rilevazione.
Nel 2018, in Italia, l’indicatore assume un valore pari a 56,5% (+1,3 punti rispetto al 2017), sintesi del tasso di occupazione dei diplomati (50,3%) e dei laureati (62,8%).
I valori sono marcatamente inferiori a quelli medi Ue28 (rispettivamente pari a 81,6%, 76,8% e 85,5%) e mettono bene in luce le forti criticità nel momento della transizione dal percorso formativo al mercato del lavoro e le evidenti carenze nel raccordo tra i due mondi.
Il confronto con i principali partner europei mostra un’Italia in posizione isolata per quanto riguarda le prospettive occupazionali dei giovani all’uscita dagli studi: a fronte di un numero di occupati che nel nostro Paese è pari a cinque diplomati e a poco più di sei laureati ogni dieci, le rispettive quote per la Francia e la Spagna sono circa sette e otto su dieci, per il Regno Unito otto e nove su dieci mentre per la Germania non scendono sotto i nove occupati su dieci.
È importante osservare che, dopo il gravissimo deterioramento del quadro occupazionale giovanile italiano negli anni della crisi, dal 2015 si è registrato un aumento consistente del tasso di occupazione dei giovani usciti più di recente dagli studi. Tale miglioramento è stato più deciso rispetto a quello medio europeo – sia per i diplomati che per i laureati – tanto che, per la prima volta dall’inizio della crisi, si osserva una riduzione del divario Italia-Europa. L’aumento del tasso di occupazione dei giovani all’uscita dagli studi è stato molto più sostenuto nel triennio 2015-2017 (+10,1 punti percentuali per i diplomati e +9.9 punti per i laureati), in particolare negli anni 2015 e 2016 mentre nel 2018 la crescita del tasso è rallentata per i diplomati (+1,9 punti) ed è stata praticamente nulla per i laureati.
Tuttavia, nonostante l’andamento positivo degli ultimi anni, i tassi di occupazione restano decisamente bassi e ancora molto inferiori ai livelli pre-crisi, sia per i diplomati che per i laureati.
A livello territoriale, nell’ultimo quadriennio la ripresa dell’occupazione tra i giovani in transizione dalla scuola al lavoro è stata più accentuata nel Nord, ampliando il divario con il Mezzogiorno specialmente per i diplomati. La struttura produttiva del Mezzogiorno appare dunque incapace di assorbire l’offerta di lavoro più qualificata, nonostante la minore quota di laureati e diplomati. Nel 2018, il tasso di occupazione a uno-tre anni dalla laurea è pari al 77,6% nel Nord e solo al 41,3% nel Mezzogiorno; il tasso a uno-tre anni dal diploma è al 65,7% nel Nord e scende a meno della metà, 32,6%, nel Mezzogiorno.
Infine, l’analisi per genere condotta sugli ultimi quattro anni evidenzia una ripresa occupazionale più intensa per la componente maschile diplomata e per quella femminile laureata.