Il “Rapporto sulla competitività dei settori produttivi”, giunto alla sesta edizione, fornisce un quadro informativo dettagliato e tempestivo sulla struttura, la performance e la dinamica del sistema produttivo italiano. Si tratta di un prodotto digitale composto da un e-book e da un’appendice statistica di indicatori scaricabili dal sito www.istat.it.
L’appendice statistica valorizza le numerose informazioni sui settori economici; per ciascun comparto viene offerta una base dati di oltre 70 indicatori, ove possibile in serie storica e con dettagli settoriali, territoriali, dimensionali e per varie tipologie d’impresa. Sono inoltre disponibili schede e grafici settoriali con i principali indicatori sulla struttura, le strategie e la performance delle imprese del comparto, aggiornate in tempo reale.
L’edizione 2018 dell’e-book si articola in quattro parti. La prima è dedicata all’analisi macroeconomica delle determinanti della ripresa in Italia e nelle principali economie europee, con particolare riferimento alla dinamica degli investimenti e dell’input di lavoro; la seconda parte si concentra sulla congiuntura dei settori produttivi, utilizzando indicatori sintetici di competitività e rilevazioni ad hoc sulle percezioni degli imprenditori circa la performance, le strategie e le aspettative per il biennio 2017-2018. La terza parte analizza i profili tecnologici e innovativi delle imprese, disegnando una “mappa” del sistema sulla base delle caratteristiche al centro delle misure contenute nel Piano Nazionale Impresa 4.0 (dotazione di capitale fisico e umano, propensione a innovazione e digitalizzazione). La quarta parte offre una prima valutazione dell’utilizzo di tali incentivi da parte delle imprese, basata su indagini qualitative e modelli macro e microeconomici.
Il volume in sintesi
Il Rapporto descrive un sistema produttivo in transizione. Nel periodo 2016-2018, dopo il sostanziale ristagno del biennio precedente, la ripresa ha beneficiato di una dinamica più sostenuta degli investimenti. Rispetto ai principali paesi Uem, tuttavia, il ritmo di accumulazione di capitale è ancora limitato, soprattutto nella sua componente di investimenti in beni immateriali. Inoltre, il nostro Paese sconta un divario rilevante soprattutto nell’uso del web e nella velocità di connessione a Internet. La ripresa si è riflessa anche in un aumento dell’occupazione, sul quale hanno influito l’agevolazione contributiva e il contratto a tutele crescenti. Sul piano settoriale emergono segnali di recupero sempre più diffusi tra le imprese in termini di tenuta o aumento di fatturato, capacità produttiva, capitale umano qualificato. Nel quarto trimestre 2017, inoltre, i giudizi rilevati sul grado di utilizzo della capacità produttiva – nel complesso della manifattura e soprattutto nel settore dei macchinari – hanno raggiunto i livelli più elevati dal 2000. L’indicatore sintetico di competitività (ISCo) segnala che nella congiuntura attuale si è in parte modificata la tendenza alla divaricazione delle performance settoriali evidenziata nella scorsa edizione del Rapporto: la metà dei comparti che, in base al valore strutturale dell’indicatore si posizionavano al di sopra della media manifatturiera, nel corso del 2017 hanno registrato una dinamica congiunturale più debole della media. L’esigenza di ampliare la dotazione di capitale (materiale e immateriale) emerge anche, a livello microeconomico, da una analisi di come questa interagisca con la propensione alla digitalizzazione: due terzi delle imprese con almeno 10 addetti sono “Indifferenti” alla digitalizzazione dei processi produttivi, ritenendo l’Ict poco rilevante ai fini della propria attività. Le imprese definite “Digitali compiute” (alto capitale fisico e umano e alta digitalizzazione) sono circa 5.400 (solo il 3%) e ancora meno sono le “Digitali incompiute” (capitale fisico medio-basso, basso capitale umano, alta digitalizzazione). Ai fini di una accelerazione della transizione digitale l’area di interesse sembra costituita dalle 18mila imprese “Sensibili” (media digitalizzazione, medio-alto capitale fisico e umano), pari all’11,7% del totale. Nel 2016-2017, inoltre, le imprese più propense alla digitalizzazione hanno creato in media più posti di lavoro e hanno parzialmente ricomposto la forza lavoro a vantaggio delle figure professionali più qualificate. Infine, primi esercizi di simulazione e valutazione sui principali incentivi del Piano Impresa 4.0 (super- e iper-ammortamento e credito d’imposta in R&S) mostrano che: a) tali misure hanno svolto un ruolo nei piani d’investimento del 2017; b) il credito d’imposta, già presente nel 2015, ha incentivato l’assunzione di personale in R&S; c) nel periodo 2018-2019 gli incentivi determinerebbero un incremento di spesa più elevato in beni immateriali che in beni materiali; d) il possibile effetto di sostituzione a favore del capitale non può essere compensato solo da una riduzione dell’aliquota contributiva a carico del datore di lavoro, a meno di ricorrere all’utilizzo di misure specifiche di contenimento del costo del lavoro, quali quelle riguardanti le assunzioni a tempo indeterminato assistite dal credito di imposta per spese in R&S.
CAPITOLO 1. CONGIUNTURA E RUOLO DEGLI INVESTIMENTI NELLA RIPRESA
In Italia, rispetto alle principali economie Uem (Germania, Francia, Spagna), la ripresa si è manifestata più tardi e con una dinamica più debole, soprattutto a causa del modesto andamento delle componenti che dovrebbero trainarla: i consumi finali e gli investimenti. Per questi ultimi, uno dei principali fattori di freno è la diversa dinamica dei processi di accumulazione di capitale materiale e immateriale: mentre il contributo degli investimenti in macchinari è in linea con quelli tedesco e francese (sia pure con maggiori sussidi alla spesa), il peso degli investimenti in capitale immateriale è minore e il loro contributo alla crescita più modesto.
Dal secondo trimestre 2013 al quarto 2017 l’Italia ha registrato un tasso di crescita congiunturale pari in media a +0,2% (contro lo 0,4% dell’Uem). I consumi hanno mostrato un’espansione costante molto vicina alla crescita del Pil; gli investimenti sono cresciuti a un tasso medio dello 0,5%, (contro lo 0,9% dell’Uem): l’andamento della spesa in macchine, attrezzature e mezzi di trasporto ha controbilanciato il recupero molto lento del ciclo delle costruzioni.
Per tutti i principali paesi Uem, gli investimenti in prodotti della proprietà intellettuale hanno invece mostrato una dinamica positiva sia nella fase recessiva sia in quella di ripresa. L’Italia, tuttavia, si caratterizza per un ritardo di crescita significativo per questa componente: tra il primo trimestre del 2013 e il quarto del 2017 l’intensità dell’espansione è stata infatti in Italia dell’8,6%, contro il +17,5% della Germania, il +17,9% della Francia e il +12,8% della Spagna.
Riguardo alle dotazioni di capitale immateriale emerge un divario rilevante di digitalizzazione dell’Italia circa l’uso del web e la velocità di connessione a Internet; il nostro Paese si colloca in una posizione intermedia per quanto riguarda l’utilizzo di tecnologie ERP (Enterprise Resource Planning) e CRM (Customer Relationships Management).
Oltre a una dinamica più lenta, gli investimenti in Italia soffrono di un ruolo più limitato come driver della crescita: la quota degli investimenti fissi lordi in percentuale del Pil è più bassa della media dei paesi dell’Uem e il divario si è ampliato nel 2017 (3,1 punti percentuali: 17,5 contro 20,6%).
In Italia, la caduta della quota degli investimenti sul Pil ha riguardato tutte le attività materiali, con una diminuzione più pronunciata per quella delle costruzioni, passata tra il 2005 e il 2017 dall’11,5 all’8% del Pil. Tuttavia, il peso delle macchine e attrezzature si è ridotto solo di sei decimi di punto, come per la Germania; quello delle attività immateriali è aumentato ma in misura nettamente inferiore, rimanendo più contenuto (2,8% del Pil) rispetto a Francia (5,5%) e Germania (3,8%). Nel caso italiano la componente dei macchinari ha inoltre fornito un contributo alla crescita del Pil reale complessivamente superiore rispetto a Francia e Germania, mentre è minore l’apporto dei prodotti della proprietà intellettuale.
Gli investimenti fissi lordi sono inoltre correlati all’andamento della produttività, la cui sostanziale stagnazione è da tempo indicata come una delle maggiori criticità per la competitività del nostro sistema produttivo. Dopo una modesta crescita tra il 2009 e il 2014 (+0,8% contro +1,3% della Germania), la produttività totale dei fattori ha registrato un arretramento nel 2016 (-0,4%): il progressivo incremento dell’occupazione ha superato in intensità quello del valore aggiunto, a fronte di una lieve contrazione dell’input di capitale. Tale dinamica ha quindi ampliato il divario con i principali partner europei: nel 2016 in Germania e Francia la PTF ha segnato un aumento rispettivamente dello 0,9 e dello 0,5%.
Dopo aver toccato il punto di minimo nel secondo trimestre del 2013 (148,8 milioni di occupati: oltre 5,5 milioni in meno rispetto all’inizio del 2008), l’occupazione nell’Uem è tornata a crescere in modo prolungato, con un progressivo recupero che l’ha portata al di sopra del livello pre-crisi. In Italia, tra il
2014 e il 2017 l’occupazione è cresciuta a un tasso medio annuo dell’1%, un ritmo inferiore a quello spagnolo (+2,6% annuo) che però aveva registrato una caduta più accentuata negli anni precedenti. In Francia l’input di lavoro è tornato a crescere già dal 2009 ma a ritmi decisamente inferiori a quelli
tedeschi.
CAPITOLO 2. LA PERFORMANCE DEI SETTORI PRODUTTIVI
Secondo l’indicatore sintetico di competitività strutturale dei settori manifatturieri (ISCo), nel 2015 ai primi posti della graduatoria figurano le imprese delle bevande, della farmaceutica, della chimica, dei macchinari e apparecchiature elettriche. I settori con valori più bassi sono gli stessi che già
manifestavano la minore competitività relativa all’inizio della recessione (2011): tessile e abbigliamento, legno e stampa. Le bevande e la chimica sono i comparti che mostrano i guadagni più ampi di competitività strutturale rispetto al 2011.
Nel 2017 l’indice del fatturato industriale è cresciuto del 4,6% rispetto al 2016, grazie a una sostenuta dinamica dalla domanda estera (+5,5%) e da una rinnovata vivacità della domanda interna (+4,1%)
Le indagini qualitative mostrano segnali di ripresa diffusa: a fronte di quote elevate di tenuta su tutti gli aspetti dell’attività d’impresa, il 45,5% delle unità manifatturiere dichiara di avere aumentato il fatturato nel 2017, il 41,2% la dotazione di capitale fisico, il 30,8% gli addetti (soprattutto, però, a bassa qualifica), il 24,6% la dotazione di capitale immateriale. Si tratta di percentuali in aumento rispetto al 2016, in particolare nei settori dei mezzi di trasporto e di prodotti di elettronica.
Il 67% delle imprese manifatturiere dichiara di aver effettuato nuovi investimenti nel 2017; in 21 settori su 23 (a eccezione di legno e riparazione di macchinari) ha investito almeno una impresa su due.
I giudizi su ordini e domanda appaiono in forte miglioramento nel 2018 rispetto all’anno precedente mentre le valutazioni sul grado di utilizzo degli impianti si sono assestate sui livelli più elevati dall’inizio del 2000.
La versione congiunturale dell’Indicatore sintetico di competitività (ISCo) evidenzia nel quarto trimestre del 2017 un recupero di competitività rispetto allo stesso periodo del 2016 per gli autoveicoli, i macchinari, la riparazione di macchinari.
A riflesso della ripresa della domanda di investimenti delle imprese, nel comparto dei macchinari nel 2017 è proseguita la crescita del fatturato interno e l’utilizzo della capacità produttiva ha raggiunto i livelli più elevati dal periodo pre crisi.
Anche nei servizi di mercato emergono segnali di consolidamento della ripresa: nel 2017 il fatturato complessivo è cresciuto del 3,4%, in netta accelerazione rispetto agli anni precedenti; in evidenza il comparto dei trasporti e magazzinaggio (+4,4% rispetto al 2016), agenzie viaggio e supporto alle imprese (4,2%), commercio all’ingrosso (3,9%).
Da una prima indagine in merito all’orientamento delle imprese verso lo sviluppo sostenibile emerge che circa un terzo di quelle industriali adotta comportamenti mediamente o altamente coerenti con tale orientamento, i quali generano effetti positivi sulla produttività.
CAPITOLO 3. INNOVAZIONE, NUOVE TECNOLOGIE E OCCUPAZIONE
Nel triennio 2014-2016 il 48,7% delle aziende italiane di industria e servizi di mercato con almeno 10 addetti ha svolto attività innovative. Il 30,3% sono “Innovatori forti” (innovano prodotti e processi); quasi il 25% “Innovatori di prodotto” (ma non di processo); il 18,5% “Innovatori di processo” (ma non
di prodotto); circa il 22% “Innovatori soft” (innovano solo l’organizzazione o il marketing); il 4,9% “Potenziali innovatori” (hanno svolto attività innovative che non si sono tradotte in innovazioni). La quota di innovatori è in aumento rispetto al 2012-2014.
Il sistema produttivo italiano ha un potenziale di trasmissione dell’innovazione di prodotto superiore a quello di processo: dei 12 settori centrali nel sistema di scambi intersettoriali, 8 hanno alta propensione all’innovazione di prodotto, 5 all’innovazione di processo. Si tratta in ogni caso di
comparti manifatturieri. Tra i comparti con forte legame innovazione-digitalizzazione, elettronica, autoveicoli, R&S, telecomunicazioni appartengono a sistemi di scambi a trasmissione “diffusa” (che favoriscono trasferimenti di innovazione e Ict estesi e veloci) o “gerarchica” (estesi ma lenti); macchinari, farmaceutica e informatica appartengono a sistemi a trasmissione “selettiva” (non estesa ma veloce) o “debole” (non estesa e lenta).
La banda ultralarga continua a diffondersi – tra il 2012 e il 2017 è passata dal 10 al 24% delle imprese – ma si amplia il divario tra PMI e grandi imprese. Il 63% delle imprese è a bassa digitalizzazione (per lo più piccole, di settori tradizionali e costruzioni, con sede al Centro-Sud), il 32% a media, il 5% ad alta (soprattutto medio-grandi di elettronica, bevande, Tlc, alloggio, informatica).
Il 77,6% delle imprese di industria e servizi di mercato con almeno 10 addetti ha livelli modesti di capitale umano (misurato in base al titolo di studio e all’anzianità aziendale), il 6,6% ha capitale umano elevato; il 60,1% ha una bassa dotazione di capitale fisico per addetto.
L’analisi congiunta di dotazione di capitale e digitalizzazione individua 5 profili di propensione alla trasformazione digitale: “Indifferenti” (bassa digitalizzazione; il 63% delle imprese), “Sensibili vincolate” (media digitalizzazione, basso capitale; 22%), “Digitali incompiute” (alta digitalizzazione, basso capitale; 2,3%), “Sensibili” (media digitalizzazione, medio-alto capitale; 9,7%), “Digitali compiute” (alta digitalizzazione, alto capitale; 3,0%).
Le “Sensibili” (che ritengono l’Ict importante per la propria competitività nel biennio 2017-2018), appaiono come la platea di riferimento per un rapido stimolo alla digitalizzazione (e alla produttività). Questo processo potrebbe essere invece frenato da livelli di capitale fisico e umano non adeguati, come nel caso delle “Sensibili vincolate”. Più difficile appare un recupero alla digitalizzazione delle “Indifferenti”.
Tra le imprese con almeno 10 addetti sempre presenti tra il 2014 e il 2017, la maggiore propensione alla digitalizzazione si è accompagnata a una maggiore creazione di posti di lavoro: nelle “Digitali compiute” e “Digitali incompiute”, una impresa su due ha aumentato le posizioni lavorative di almeno
il 3,5%, un valore superiore alla media complessiva e oltre cinque volte superiore a quello delle “Indifferenti” (0,6%). Le “Indifferenti” e le “Sensibili vincolate”, che insieme spiegano circa la metà del saldo totale di assunzioni e cessazioni nel 2016-2017 (+183.200 addetti su +291.400) hanno ricomposto la forza lavoro a favore delle fasce meno qualificate: rispettivamente -36.900 e -75.400 addetti nella fascia a elevata qualifica, +68.300 e +54.300 addetti in quella a media, +55.700 e +117.200 addetti nelle fasce a bassa qualifica.
L’investimento in Ict è un fattore di “divergenza”: rafforza la dinamica occupazionale delle imprese a performance migliore senza avere effetti sostanziali su quella delle unità meno dinamiche. Al contrario, l’innovazione “forte” (+3,5% per una impresa su due dei servizi, +1,5% nella manifattura), la maggiore dotazione di capitale umano (+3,2%, +4,9% nel manifatturiero) e la produttività (almeno +1,7% di posti di lavoro per una impresa su due) hanno effetti positivi e tendono a far convergere verso l’alto la performance di tutto il sistema.
CAPITOLO 4. IL PIANO NAZIONALE “IMPRESA 4.0”: ALCUNE PRIME VALUTAZIONI
Secondo il giudizio degli imprenditori il super ammortamento ha svolto un ruolo “molto” o “abbastanza” rilevante nella decisione di investire nel 2017 per il 62,1% delle imprese manifatturiere, l’iper ammortamento per il 47,6% (53,0% nelle medie imprese, 57,6% delle grandi); il credito
d’imposta per spese in R&S è stato ritenuto rilevante dal 40,8% delle imprese.
In tutti i comparti (tranne abbigliamento e altri mezzi di trasporto) almeno una impresa su due ritiene rilevante il super ammortamento; l’iper ammortamento è ritenuto importante soprattutto nei settori di apparecchi elettrici (58,9% delle unità), gomma e plastica (57,7%), metallurgia (55,8%), elettronica e macchinari (53,6% in entrambi i casi); il credito di Imposta per R&S è considerato rilevante soprattutto nei settori di autoveicoli (69,8%) e altri mezzi di trasporto (60,0%).
Il 45,8% delle imprese dichiara di prevedere investimenti in software nel 2018, il 31,9% in tecnologie di comunicazione machine-to-machine o internet of things, il 27,0% in connessione ad alta velocità (cloud, mobile, big data ecc.) e in sicurezza informatica.
Un esercizio di simulazione con il modello macroeconometrico dell’Istat rileva che le misure di agevolazione (super e iper ammortamento, credito imposta R&S) produrrebbero una crescita complessiva degli investimenti totali di 0,1 punti percentuali sia nel 2018 sia nel 2019, a seguito di una dinamica più sostenuta degli investimenti in macchinari (+0,1 punti nel 2018 e +0,2 nel 2019) e di quelli in proprietà intellettuale (+0,8 punti nel 2018 e +0,6 nel 2019).
Un secondo esercizio valuta invece l’impatto del credito d’imposta in R&S sugli investimenti in ricerca e sviluppo nel 2015 e sugli addetti impiegati in R&S. A fronte di un impatto incerto in termini di spesa in R&S per impresa, le imprese beneficiarie risultano avere assunto personale addetto alla R&S in misura maggiore sia rispetto alle non beneficiarie (circa +6 addetti), sia rispetto alle eleggibili che non hanno utilizzato l’incentivo (circa +2 addetti).
In un terzo esercizio si è calcolato che in caso di investimento in beni strumentali finanziato con capitale di debito e di aliquota contributiva al 23%, per ogni euro risparmiato nella spesa in capitale fisico grazie all’utilizzo dell’iper ammortamento, il ricorso congiunto al credito di imposta in R&S determinerebbe una riduzione del costo del lavoro per l’impresa di 0,68 euro. Questo effetto aumenterebbe a 0,97 euro in caso di azzeramento dell’aliquota contributiva a carico del datore di lavoro.