Marzo 2007. Business Class, volo Pechino-Milano, diecimila metri sopra Ulan Bator, la capitale della Mongolia. Il Presidente ha l’aria preoccupata e impaziente di chi non riceve una telefonata attesa. Apre una valigetta ed estrae un telefono satellitare. Vuole chiamare il suo unico figlio, anche se in Italia è l’una di notte e lo rivedrà di lì a poche ore. Mentre il telefono cerca di agganciare i satelliti, venticinque chilometri sopra le nostre teste, mi confida che il suo mestiere è difficile, la sua storia imprenditoriale è irripetibile, il mercato in cui opera è pieno di trappole, figlie dell’intensità di capitale richiesta per finanziare impianti produttivi e produzioni di serie che non possono mai fermarsi. Tutto questo fagociterà suo figlio, quando lui non ci sarà più. Perché suo figlio non è della sua stessa pasta; non ha dovuto solcare mari in tempesta e scalare erti monti, inseguendo un’idea imprenditoriale pur ricca di innovazione, ma soggetta ai cicli forsennati del settore. Non lo ha fatto studiare perché Lui era il Maestro. E suo figlio non capisce i pericoli e per questo non chiama, per aggiornarlo su quella quotidianità dalla quale lui, per qualche giorno, si è dovuto assentare per saziare la fame di globalizzazione di chi costruisce automobili. Mi dice che sa che io lo capisco, perché «ho studiato». Sono ingegnere e vedo lontano, pur con i piedi per terra.
Capisco benissimo, Presidente! A differenza dei satelliti, che gli danno la linea per fare quella telefonata, per tirare quel guinzaglio corto con cui tiene suo figlio nella cuccia paterna. Per celebrare e celebrarsi nel dilemma «padre, padrone e imprenditore» che tante volte acceca, quando l’unico vero figlio di cui ci si riconosce padre è l’Impresa. E tutto ciò che è nell’impresa – valori, impianti, tecnologia, innovazione, servizio, persone e familiari – è prima di tutto Proprietà e quindi Potere.
È nella genesi psicologica e culturale del potere che si annida la trappola, pur umanissima di identificare l’impresa con se stesso, di misurare il futuro con la propria e unica cifra. Quel potere è giustificato dalla consapevolezza ed esercizio delle proprie responsabilità, dalla assunzione delle conseguenze del rischio imprenditoriale, dal premio che il mercato paga all’originalità e dal contributo alla crescita economico-sociale del territorio.
Separare la Leadership (la capacità di guidare al successo, aggregando il consenso intorno a un obiettivo) dal Potere (la capacità di far valere la propria volontà, anche in presenza di opposizioni, in relazione a un obiettivo), e ancor più abbracciare un esercizio del potere condiviso e autorevole, piuttosto che piramidale e autoritario, è impresa che nella dimensione imprenditoriale familiare italiana risulta più difficile che in altre. Il motivo è puramente storico e va ricercato nelle due culture del potere che hanno segnato per oltre due millenni l’esercizio dell’autorità in Italia: Impero e Papato.
A partire dal 200 a.C. la maggior parte dell’umanità è vissuta all’interno di imperi, ma la caratteristica tutta italiana è quella di avere ospitato contemporaneamente al potere temporale anche quello spirituale di Santa Romana Chiesa. Impero e Papato – che hanno sempre rivendicato la loro indipendenza (oltre che la rispettiva superiorità), cristallizzando in entrambe un modello verticistico della catena di comando – hanno prodotto una cultura dell’esercizio del potere che non prevede la condivisione, ma che è autoreferenziale, si tramanda non per capacità o risultati prodotti od obiettivi raggiunti, ma per diritto di sangue l’uno (pur con la scorciatoia dell’imperatore adottivo, in mancanza di eredi) e divino l’altro.
Finché l’imprenditore, nella sua identificazione con l’impresa, sarà imperatore piuttosto che co-gestore (e idealmente poi solo azionista), la sua imprenditorialità sarà al contempo la forza e il più grande limite alla continuità sostenibile.
[Brano estratto dal libro R-INNOVARE IL FAMILY BUSINESS. L’INTELLIGENZA NATURALE DELL’IMPRENDITORE COME DIFFERENZIALE COMPETITIVO, Edizioni Guerini]Alessandro Scaglione è esperto di imprese familiari, dove ha lavorato per più di vent’anni come dirigente al fianco di diversi imprenditori. Laureato in Ingegneria Gestionale, ha frequentato cum laude il master in General Management al mip del Politecnico di Milano e, nel 2018, ha creato Consiliator, società che intende diffondere un modello distintivo di cultura, formazione e servizi dedicati al family business.