L’esigenza di cambiamento imposta dalle grandi transizioni dei nostri tempi è il primo risultato che emerge dall’ultima edizione della Workforce Hopes & Fears Survey di PwC, che quest’anno ha intervistato 56.600 dipendenti (2.000 in Italia) di tutti i livelli e settori in 46 paesi del mondo.
La metà dei lavoratori intervistati in Italia afferma di aver sperimentato più cambiamenti negli ultimi 12 mesi che non nell’anno precedente e il 64% percepisce la necessità di un cambiamento dei modelli operativi e organizzativi. Benché solo il 56% sia fermamente convinto che i leader della propria azienda abbiano le skills necessarie per guidare questo cambiamento.
Se stipendio e promozioni non bastano più
Aumenta rispetto al 2023 la percentuale dei dipendenti italiani che ritiene di essere soddisfatta del proprio lavoro (54%, +3% rispetto al 2023). È interessante notare come la soddisfazione lavorativa non sia direttamente collegata all’intenzione di cambiare la propria situazione. I dipendenti italiani, infatti, pur essendo complessivamente meno soddisfatti dei colleghi nel resto del mondo, sono anche meno propensi ad attivarsi per chiedere una promozione o un aumento di stipendio.
Questo dato suggerisce che nel qualificare un’esperienza lavorativa soddisfacente (e tutti i risvolti che ne conseguono in termini di engagement, produttività e qualità del lavoro) abbiano peso fattori immateriali che vanno al di là degli aspetti apparentemente più concreti come la retribuzione o la flessibilità
Un giovane talento su due cambierebbe lavoro per maggiori opportunità di upskilling
L’aggiornamento continuo delle competenze è diventato un fattore di differenziazione aziendale: il 41% dei dipendenti afferma che l’opportunità di imparare nuove competenze è un fattore chiave quando si tratta della decisione di cambiare lavoro (vs. 47% media globale), per le generazioni più giovani (18-27 anni) l’importanza aumenta al 51%.
Quasi un terzo dei rispondenti dichiara inoltre che il proprio lavoro ha subito almeno un cambiamento sostanziale (in termini di responsabilità giornaliere, struttura del team, carico di lavoro, adozione di nuove tecnologie) nel corso degli ultimi 12 mesi, cambiamento che ha riguardato soprattutto i lavori di ufficio e quelli manuali specializzati.
Cercasi leader in grado di comunicare, valorizzare e ispirare fiducia
L’allineamento dei dipendenti alla leadership e agli obiettivi aziendali è un fattore rilevante nel determinare qualitativamente l’esperienza lavorativa. Il 55% dei rispondenti a livello italiano ha valutato positivamente la leadership della propria azienda in termini di comunicazione, competenze, fiducia, equità, tutela del benessere e valorizzazione dei dipendenti. Il dato mostra ampi margini di miglioramento, soprattutto se paragonato alla media globale del 67%.
Le persone sono pronte al cambiamento
Complessivamente le persone in Italia si attendono meno dei colleghi nel resto del mondo cambiamenti sostanziali nel prossimo futuro. In generale, a livello italiano, si tende a essere più moderati nel valutare l’impatto trasformativo di elementi come il cambiamento tecnologico, i conflitti geopolitici o il cambiamento nelle preferenze dei consumatori. La differenza più evidente tra i risultati globali e italiani riguarda il cambiamento tecnologico (46% vs 37% rispettivamente) e ai cambiamenti nelle regolamentazioni governative (43% vs 35%).
Meno digitalizzati, più scettici
Il vero potenziale per sfruttare a pieno le innovazioni rivoluzionarie verrà dai lavoratori stessi. In Italia la diffusione delle nuove tecnologie basate sull’intelligenza artificiale procede a rilento (solo il 5% delle imprese con 10 o più addetti utilizza tecnologie basate sull’IA, contro una media europea dell’8%), e infatti solo il 4% dei lavoratori intervistati dichiara di utilizzare quotidianamente l’intelligenza artificiale generativa (GenAI).
I dati del sondaggio forniscono uno spaccato interessante delle ragioni alla base del mancato o scarso utilizzo della GenAI. Sia a livello globale che a livello italiano la prima ragione è la percezione che il proprio lavoro non si presti all’impiego di GenAI (33% e 27% rispettivamente).
Fonte: PwC