Il capitale umano e il welfare dei dipendenti sempre più centrali: l’organizzazione e la cultura aziendale si modificano a favore della flessibilità per l’84% delle aziende e con la volontà di inserire nuove figure volte al riassetto dei processi aziendali
- Le barriere al cambiamento e le responsabilità: direzione aziendale, consulenti esterni o HR diventano le figure addette alla trasformazione, e si trovano ad affrontare diverse barriere, fra cui l’isolamento dei dipendenti dovuto al lavoro da remoto e il riadattamento dei processi di controllo, ora volti alle performance
- Lo smart working, da necessità a strategia per il futuro per il 67% delle PMI: le aziende italiane pensano di far tesoro dei cambiamenti indotti dalla crisi Covid, e sono disposte ad assumersi costi e responsabilità non preventivati per far sì che questo accada
- L’investimento sugli apparati tecnologici: Le aziende dello smart working strategico continueranno ad investire per rinnovare l’apparato tecnologico, ci saranno nuove esperienze d’uso dei device per adattarsi alle nuove esigenze di mobilità e ci si appresta ad adottare modelli di maggior autonomia per le persone, di maggior orientamento ai risultati, di utilizzo più libero delle dotazioni informatiche (a partire dal PC), soprattutto nel Sud Italia
La diffusione della pandemia e le conseguenti restrizioni dell’ultimo periodo hanno obbligato le piccole e medie imprese a modificare alcuni processi e modalità di lavoro, incentivando la flessibilità e premiando i datori di lavoro in grado di rispondere tempestivamente alle nuove esigenze. Se da un lato questo periodo è stato complesso per diverse realtà, nel 2020 solo il 24% delle PMI Italiane ha dichiarato di aver registrato una crescita del proprio business, dall’altro è stato un momento di grande rinnovamento ed evoluzione, dove le aziende hanno fatto tesoro dei cambiamenti indotti dalla crisi Covid. Questo è quanto evidenziato dalla ricerca commissionata da ASUS all’istituto Eumetra[1], che ha intervistato un campione di 400 piccole e medie imprese italiane nel periodo di ripresa post Covid, per capirne le nuove strategie e i processi di adattamento effettuati.
Nel 2021 molte delle attività analizzate stanno ancora affrontando gli strascichi di una situazione pandemica che ha completamente rivoluzionato il mondo del lavoro, cambiando la concezione di ufficio, stravolgendo il concetto di rapporto personale fra colleghi e molto altro. L’apparato hi tech sembra rappresentare una delle forme di investimento più interessanti per le aziende nel post Covid. Lo smart working ha sicuramente incentivato un’importante modernizzazione tecnologica nelle aziende italiane, e ha stravolto i processi di lavoro di grandi e piccole aziende in Italia. Questo tema è già stato affrontato sotto molteplici punti di vista, ma ASUS ha voluto esplorare le conseguenze e gli eventuali nuovi piani che aspettano le PMI italiane nei prossimi anni, in piena fase di ripresa del post pandemia. La ricerca ha infatti sottolineato come queste conseguenze non riguardino principalmente la questione “ufficio o smart working”, ma ne emerge una forte componente psicologica, che vede l’intero approccio al lavoro e ai team da parte dei dipendenti modificarsi ed evolversi, richiedendo un forte investimento da parte delle aziende sull’elemento del capitale umano.
Il capitale umano e il welfare dei dipendenti sempre più centrali
Le conseguenze del Covid hanno fatto sì che molte imprese italiane, PMI incluse, cambiassero approccio e reinvestissero le proprie risorse non solo nell’attrezzatura necessaria ad affrontare i cambiamenti che tutti abbiamo vissuto, ma anche e soprattutto nel capitale umano, le sue competenze, il ruolo e il morale di ogni singolo dipendente. La ricerca di ASUS evidenzia infatti come il lavoro individuale è aumentato (45%) a discapito del team, che non è però scomparso o diminuito, ma è cambiato e si è evoluto in un tipo di collaborazione diverso. Allo stesso modo, l’ufficio ha perso la sua connotazione di “luogo parte della routine quotidiana”, diventando invece un luogo di eccezionalità, quasi desiderabile in quanto si è andato a legare indissolubilmente con la sfera dei rapporti umani fra colleghi (il 33% delle PMI dichiara di vedere l’ufficio come punto di incontro per i colleghi al di fuori della normalità e quotidianità del lavoro da casa, mentre il 18% delle stesse aziende lo definisce un luogo oramai superfluo, utile solo per le occasioni “formali”).
D’altro canto, molti lavoratori hanno sentito, con l’aumentare dello smart working, un aumento anche dei carichi e delle ore di lavoro. Il 37% delle aziende, infatti, afferma che le persone dipendenti hanno acquisito maggiore flessibilità (il 45% di queste sono aziende del Centro Italia), mentre nel 32% dei casi i colleghi hanno mantenuto un orario fisso, vedendo però aumentare le ore lavorative. La flessibilità totale di orario è invece stata acquisita solo dal 24% delle PMI.
Anche i processi di controllo dei dipendenti sono cambiati, con delle visibili differenze a seconda dell’area geografica: mentre il 34% delle aziende del Nord Ovest ha deciso di lasciare ampia fiducia ai propri collaboratori, andando a verificare solo i risultati ottenuti e non più le ore di lavoro effettuate, si è assistito a un aumento dei controlli nel Sud e nelle Isole, con il 37% delle PMI che ha attivato specifici processi a supervisione della produttività.
Le barriere al cambiamento e le responsabilità
La responsabilità della gestione del cambiamento è molto spesso nelle mani della Direzione aziendale (il 39% delle aziende del Nord Est Italia ha lasciato tutto nelle mani di questa figura). Ma non sono rare le aziende nelle quali intervengono soggetti dedicati: una nuova figura interna, un consulente esterno (per il 24% delle aziende del Nord Ovest, in particolare) o la stessa direzione HR, a riprova dell’importanza dell’engagement del capitale umano nel processo: la trasformazione in atto cambia potenzialmente il modo di gestire le risorse umane, in primo luogo. Non è solo un modo corretto di approcciare il futuro, ma anche un modo di approcciare la realtà della propria azienda. Soltanto nel 26% delle PMI la Direzione è serena e percepisce che il cambiamento è stato pienamente accettato dalle sue persone. Negli altri casi la Direzione stessa si è accorta della presenza di criticità ed attriti che necessitano un intervento per il bene dell’azienda e del suo stesso funzionamento e crescita.
Vi sono infatti delle barriere percepite in questi cambiamenti, in quanto il 25% delle aziende teme che lo smart working possa portare a una perdita di motivazione del lavoratore, mentre il 24% crede che questo porterà a un maggiore isolamento dei dipendenti, con conseguente perdita dei contatti sociali e maggiore preoccupazione per eventuali distrazioni e incombenze famigliari. Solo a seguito di queste motivazioni subentrano i timori riguardo l’impossibilità di adattare i processi aziendali ai nuovi metodi di lavoro.
Lo smart working, da necessità a strategia per il futuro per il 67% delle PMI
La ricerca di ASUS mostra che il 41% delle PMI italiane afferma di aver dovuto affrontare nel 2020 dei grandi cambiamenti a livello operativo e organizzativo, ma ciò che risulta interessante è che una buona parte di queste progetta, o ha già in atto, di mantenere e addirittura implementare tali modifiche. A partire dal lancio e/o rinforzamento di nuovi servizi o prodotti, sono molte le aziende che si fanno promessa di rinnovare il proprio apparato tecnologico (29%), mantenere lo smart working (18%) o riorganizzare la struttura interna (26%). In ogni caso, le percentuali di aziende che queste azioni le hanno già messe in campo sono decisamente minori. Rispettivamente, il 14% delle PMI ha infatti rinnovato l’apparato tecnologico, il 10% ha previsto nuovi servizi o prodotti, e il 9% ha avviato una riorganizzazione interna, mentre rimane invariata la percentuale riguardante l’implementazione dello smart working.
In altre parole, le aziende italiane pensano di far tesoro dei cambiamenti indotti dalla crisi Covid, e sono disposte ad assumersi costi e responsabilità non preventivati per far sì che questo accada. Lo smart working, ad esempio, è previsto restare per circa 8 aziende su 10 fra quelle che lo hanno usato in questo periodo. Considerando l’insieme delle aziende italiane studiate, il lavoro da remoto rimarrà nel 67% delle PMI. La maggioranza di queste pensa ad una strategia di impiego più “intensiva” e non limitata a poche persone. Inoltre, le aspettative per il 2022 sono più che ottimistiche per quel che riguarda il 66% del campione intervistato, con un 28% di aziende (molte delle quali situate nel Centro Italia) che invece si aspetta di rimanere stabile nei profitti.
L’investimento sugli apparati tecnologici
Tre quarti delle aziende che implementeranno lo smart working come soluzione strategica per il futuro hanno inoltre in mente di ridurre gli uffici. Soprattutto le imprese più grandi con un assorbimento di spazio maggiore stanno valutando l’aspetto delle metrature allocate ed i relativi costi fissi, di affitto o ammortamento. Ma anche l’organizzazione e la cultura aziendale si modificano. Le aziende dello smart working strategico si apprestano ad adottare modelli di maggior autonomia per le persone, di maggior orientamento ai risultati, di utilizzo più libero delle dotazioni informatiche (a partire dal pc), anch’esse in evoluzione. In particolare, il 52% delle PMI del Sud Italia ha dovuto sopperire alla mancanza di pc portatili per i propri dipendenti, andando a costituire una grossa fetta della crescente domanda per questi strumenti.
Il cambio di “sede di lavoro” ha ovviamente portato l’esigenza di dotare ogni dipendente di strumenti adeguati allo smart working, con un forte shift rivolto all’acquisto di computer portatili e laptop compatti.
Le parole d’ordine che hanno guidato tale scelta rappresentano inoltre le due esigenze che sono emerse: videoconferenze al posto di meeting di persona, che quindi richiedevano la dotazione di webcam e microfoni adatti, e la necessità di mobilità, che ha portato le preferenze su laptop leggeri, compatti e facili da trasportare. Quindi dalla postazione di ufficio si è passati al laptop con webcam integrata. Una conseguenza prevedibile, certo, ma che ha portato a un adattamento dell’offerta nel settore decisamente visibile. Il 55% delle PMI fa infatti uso di laptop, mentre un 44% rimane ferma sui pc fissi. Altro grande cambiamento è quello che vede il crescere degli acquisti di tablet, affrontato dal 24% del campione.
“Il periodo della pandemia ha avuto un grandissimo impatto sul tessuto imprenditoriale italiano, PMI incluse, obbligando le aziende a implementare diverse misure per proseguire la loro operatività. I cambiamenti indotti, molti dei quali già in essere ma profondamente accelerati da questa emergenza, sono stati anche l’espressione di una volontà di evoluzione e digitalizzazione dei processi già presente in queste realtà da tempo, ma che ha trovato applicazione solo in questo momento.” Dichiara Massimo Merici, Business Development Manager System Business Group di ASUS Italia. “Un elemento fondamentale per far fronte a questo periodo è stata la tecnologia, e le PMI si sono rese conto del supporto strategico che questa può fornire. Per questo motivo ASUS si è proposta come partner ideale a supporto di tutte quelle realtà che ricercano soluzioni volte al riammodernamento tecnologico, fornendo strumenti versatili e compatti, ma allo stesso tempo leggeri e che favoriscano una mobilità estrema, come non l’abbiamo mai vista. Ad oggi, possiamo dirci ancora più consapevoli del supporto e del valore aggiunto che noi, come fornitori delle piccole e medie imprese italiane, possiamo dare in questo senso, favorendo le aziende nella loro transizione tecnologica e guardando insieme a loro al futuro.”
In conclusione, le PMI italiane si dichiarano pronte ad affrontare una revisione dei loro processi a tutto tondo per abbracciare un nuovo stile lavorativo, che offra maggiore libertà ai propri dipendenti e si basi completamente sulla flessibilità e versatilità delle risorse, con nuovi metodi e luoghi di lavoro, un nuovo processo di controllo e maggiore fiducia presso i collaboratori stessi. Nonostante le criticità previste, una buona percentuale sta già attuando dei processi di cambiamento, o comunque pianifica di farlo nel prossimo futuro, segnando una ripresa netta, anche per quelle realtà più piccole e più colpite nell’anno post pandemico.
[1] La ricerca è stata condotta su un campione di 400 piccole e medie imprese italiane rappresentative per fatturato (dai 2 milioni ad oltre 16) e dimensione (dai 10 dipendenti ai 250) tramite interviste via web ai decisori d’acquisto aziendali.