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C’è un’Italia appassionata e apprezzata nel mondo, che produce ricchezza puntando su qualità e innovazione. Un’Italia di cui essere orgogliosi di cui spesso, però, non c’è piena consapevolezza. Il rapporto I.T.A.L.I.A. 2019 – Geografie del nuovo made in Italy acronimo e racconto dell’identità produttiva e sociale italiana – dall’Industria al Turismo, dall’Agroalimentare al Localismo, dall’Innovazione all’Arte e alla Cultura – è un viaggio di scoperta in un Paese che ha i talenti e le risorse per guardare negli occhi il futuro, è realizzato da Fondazione Symbola, Unioncamere e Fondazione Edison con il sostegno di Intesa Sanpaolo. Presentato, a Treia, nella sessione di apertura del XVII Seminario estivo di Symbola, il rapporto nasce per raccontare questa parte del Paese. Arrivato alla sua quarta edizione è stato realizzato in collaborazione con IMA e Comieco; con la partnership tecnica di Google, Ipsos Italia e di Si.Camera e il patrocinio dei ministeri degli Affari Esteri, dell’Ambiente.

Scorrendo le pagine della ricerca scopriamo che spesso l’Italia non sa di essere innovativa, versatile, creativa, reattiva, competitiva e vincente. L’indagine condotta da Ipsos, all’interno del rapporto, è proprio sulla percezione e consapevolezza delle capacità del Bel Paese. L’Italia è tra i primi 10 Paesi al mondo per investimenti in ricerca e sviluppo: solo il 13% degli italiani ne è consapevole, e addirittura quasi uno su due (45%) la ritiene una notizia poco attendibile. Siamo il primo Paese europeo per riciclo di rifiuti col 76,9% del totale di quelli prodotti: ma solo un italiano su 10 lo sa e addirittura il 51% ritiene questa notizia non credibile. Al tema della consapevolezza si aggiunge insomma quello della fiducia. Eppure all’estero cresce la domanda di Italia. In base all’analisi svolta sulle ricerche effettuate su Google, il numero di quelle legate al made in Italy e alle parole chiave ad esso riconducibili – un fondamentale indicatore della notorietà e del desiderio dei prodotti italiani nel mondo – è cresciuto del 56% tra il 2015 e il 2018.

Da record il surplus commerciale manifatturiero, quello dell’Italia è infatti il quinto al mondo – con 106,9 miliardi di dollari – dietro alla Cina, alla Germania, alla Corea del Sud e al Giappone. Performance sostenute da migliaia di imprese medio-grandi, medie e piccole che ci fanno competere sui mercati globali grazie alle capacità di essere flessibili, attive in tanti campi diversi. I fattori vincenti del made in Italy si confermano essere la creatività, l’innovazione, il design, i settori hi-tech come la meccanica o i mezzi di trasporto.

“C’è un’Italia – commenta Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola – in grado di parlare al mondo con i suoi talenti, la sua creatività, il suo territorio, la sua bellezza. Capace con le sue energie migliori di affrontare a testa alta le sfide per il futuro a partire dalla crisi climatica, da un’economia più sostenibile e più a misura d’uomo. Una sfida essenziale anche per ridare forza all’Europa. Troppo spesso questo Paese non ha piena coscienza delle proprie potenzialità. Tanto che è una delle nazioni al mondo in cui è maggiore la forbice tra percezione interna, spesso negativa, e percezione esterna positiva e favorevole. Un’Italia che fa l’Italia può essere protagonista se trova una visione comune, se non lascia indietro nessuno, se non lascia solo nessuno”.

“Il Rapporto mette in luce un volto dell’Italia che non è conosciuto a sufficienza”, sottolinea Giuseppe Tripoli, segretario generale di Unioncamere. “L’export nazionale è aumentato di quasi il 60% in 10 anni, passando da un saldo negativo ad un saldo positivo di circa 39 miliardi di euro. Il nostro Paese vanta quasi mille prodotti su 5mila ai primi posti nel mondo in termini di saldo commerciale. L’Italia ha un forte orientamento all’innovazione, attestato dalle sue 38mila imprese manifatturiere innovatrici e dall’utilizzo di oltre 64mila robot industriali. Ma è anche un Paese che sa far crescere le proprie tradizioni, come mostra il primato dell’agricoltura, soprattutto biologica, e che, di anno in anno, conferma la propria attrattività turistica, posizionandosi ai primi posti nel mondo grazie al crescente numero di pernottamenti di viaggiatori non europei (oltre 65 milioni di notti)”.

Innovazione

L’Italia, con il 76,9%, è il paese europeo con la più alta percentuale di riciclo sulla totalità dei rifiuti, più del doppio della media comunitaria (36%). Con il 18,5% di materia seconda sui consumi totali di materia delle imprese, siamo anche primi tra i grandi Paesi europei per tasso di circolarità dell’economia. Un riuso di materia che comporta un risparmio pari a 21 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio e a 58 milioni di tonnellate di CO2. A questi risultati si aggiunge un altro primato europeo legato alla dematerializzazione dell’economia: ogni kg di risorsa consumata, genera 4 euro di Pil, contro una media Ue di 2,24 euro e un dato della Germania di 2,3 euro. Tutti dati che parlano di sostenibilità ambientale ma anche di efficienza economica, produttiva e di innovazione. Un quadro destinato a migliorare ulteriormente, considerando le oltre 345.000 imprese italiane dell’industria e dei servizi che hanno investito nel periodo 2014-2018 in prodotti e tecnologie green.

Inoltre, secondo la International Federation of Robotics l’Italia detiene un importante sesto posto a livello mondiale per stock complessivo di robot installati (64.356 unità nel 2017, ultimo anno disponibile). L’Italia è preceduta soltanto da Cina, Giappone, Corea del Sud, Stati Uniti e Germania, tutti Paesi con gigantesche industrie dell’automotive e dell’elettronica per natura caratterizzate da un’elevata densità di robot. Ma l’Italia primeggia nei suoi campi di specializzazione, essendo quarta al mondo con 7.023 robot installati nell’alimentare-bevande-tabacco, a poca distanza dalla Germania. Siamo inoltre secondi solo alla Cina nel tessile-abbigliamento-pelli-calzature e alla Germania nel legno-arredo; e siamo quinti nella metalmeccanica. La crescita dei robot in Italia negli ultimi 3 anni è stata impressionante: +48% nell’alimentare; +27% nella moda; +21% nel legno-arredo; +23% nella metalmeccanica.

Turismo

Il turismo continua ad essere una delle principali leve di attrazione del nostro Paese e il contributo diretto del turismo al Prodotto interno lordo dell’Italia, secondo i dati elaborati dal World Travel and Tourism Council (WTTC), ammonta nel 2018 a 99 miliardi di euro (pari al 6% circa della produzione nazionale), mentre se consideriamo anche le ricadute dirette e indirette (prodotti e servizi intermedi, spesa pubblica, investimenti, ecc..) l’intero comparto “viaggi e turismo” arriva a rappresentare il 13,2% del Pil, con un valore pari a 232,2 miliardi. Scomponendo il Pil generato dal turismo italiano, osserviamo che nel 2018 esso è originato per l’80% dai viaggi di piacere, per un valore di 141,1 miliardi di euro, ed il restante 20% da viaggi d’affari (37,3 miliardi).

L’Italia è il primo Paese per numero di siti classificati dall’Unesco nella lista del patrimonio culturale mondiale: 54, davanti alla Cina (53), alla Spagna (47), alla Francia (44) e alla Germania (44). Sono 4.889 i musei e gli istituti similari, pubblici e privati, aperti al pubblico nel 2017: di questi, 4.026 sono musei, gallerie o collezioni, 293 aree e parchi archeologici e 570 monumenti e complessi monumentali. Una vocazione alla cultura che si fa economia e che contamina anche altri settori, come la manifattura.

Agroalimentare

Le eccellenze agroalimentari italiane originano dal sistema primario: agricoltura, silvicoltura e pesca.

La rilevanza di tale sistema riguarda innanzitutto l’occupazione. In Europa, quasi 1 occupato su 10 è italiano: infatti nell’Unione Europea si contano circa 10 milioni di occupati e ben 917mila sono localizzati in Italia. Tra le 5 grandi economie europee, l’Italia è al primo posto per numero di occupati. Al secondo posto si colloca la Spagna con 764mila e al terzo la Francia con 752mila, mentre a maggiore distanza si posizionano la Germania con 617mila e il Regno Unito con 388mila unità.

L’Italia è il Paese con il maggior numero di riconoscimenti dell’Unione europea per le specialità agroalimentari, e in particolar modo per i vini: più di un prodotto certificato su 4 è italiano (una specialità alimentare su 5 e un vino su 3). I prodotti alimentari italiani a denominazione di origine e a indicazione geografica sono 299, di cui 167 DOP e 130 IGP a cui si aggiungono anche 2 STG. Nel comparto del vino l’Italia conta ben 526 riconoscimenti, di cui 408 DOP e 118 IGT.

In Italia è generato quasi un quinto del valore aggiunto dell’intero sistema agricolo dell’Unione Europea: su un totale stimato pari a 182,3 miliardi nel 2018, l’Italia contribuisce per il 17,7%, la Francia per il 17,6%, la Spagna per il 16,6%, la Germania per il 9,2% e il Regno Unito solo per il 5,9%. Peraltro, la leadership italiana origina da un trend di lungo corso. Nel periodo 2008-2018, l’Italia ha conquistato stabilmente il primo posto in Europa (a parte gli anni difficili 2010 e 2011) in quanto ha sempre superato la Francia, anche se a volte di stretta misura (fonte dati: Eurostat). Il settore agroalimentare si contraddistingue per i suoi risultati straordinari nel commercio con l’estero e si conferma tra i comparti più vitali e dinamici. Le esportazioni di prodotti agroalimentari segnano un nuovo record nel 2018: 41,8 miliardi di euro. L’agroalimentare vale quasi un decimo (9%) di tutte le esportazioni italiane (circa 463 miliardi). Le performance positive sono confermate nel lungo periodo: le esportazioni sono passate da 26,3 miliardi nel 2008 a 41,8 miliardi nel 2018, ovvero sono aumentate di circa 15,5 miliardi (+59%). La crescita è stata pressoché ininterrotta e particolarmente positivi sono i risultati degli ultimi anni (fonte ISTAT).

Territorio e coesione

Da qualche anno questo rapporto racconta come nelle nostre società la produzione di valore economico e quella di valore sociale non sono più disgiunte, ma camminano assieme, attivando dinamiche collaborative trasversali e multidirezionali che coinvolgono una pluralità di soggetti.

Uno di questi è senza dubbio il settore non profit: un comparto che negli ultimi anni non solo è cresciuto in termini di occupati e di rilevanza economica, ma è stato in grado di esprimere un dinamismo che ha senza dubbio aiutato il nostro Paese a contrastare gli effetti della crisi economica ed occupazionale. Come dimostrano i dati di “Coesione è competizione” di Symbola e Unioncamere, report biennale che misura proprio il vantaggio competitivo di quelle imprese – imprese coesive – che curano le relazioni con i propri lavoratori e con i soggetti che fanno parte del loro ecosistema: altre imprese e consumatori, organizzazioni non profit, istituti di credito, scuola, Università e Istituzioni. Secondo le indagini di Symbola e Unioncamere le imprese coesive hanno maggiore fiducia nel futuro e si aspettano migliori performance economiche (fatturato e export) e occupazionali. Un aumento del fatturato è atteso per il 2019 dal 31,0% delle imprese coesive contro il 13,9% nel caso di quelle non coesive. Un divario che si conferma anche con specifico riferimento all’aumento dell’export (20,1% vs 8,5%). Migliori risultati economici che si riflettono in campo occupazionale, perché il 20,9% delle imprese coesive prevede una crescita degli occupati contro il più ridotto 8,8% relativo alle imprese non coesive.

Industria

Anche nel 2018 il principale contributo all’export e al saldo commerciale italiano è stato dato dalle quattro grandi aree di eccellenza manifatturiera del nostro Paese grazie alle quali la bilancia commerciale italiana ha chiuso l’anno analizzato con un attivo di 38,9 miliardi di euro, riuscendo a compensare lo storico deficit “energetico” (pari a 45 miliardi nel 2018) e il passivo dei settori di minore specializzazione del nostro Paese (53 miliardi). In particolare, nel 2018 il surplus delle 4 aree è stato pari a 137 miliardi di euro, di cui oltre il 60% generato dal comparto della Automazione-meccanica-gomma-plastica (84 miliardi), seguito dall’abbigliamento-moda (29 miliardi), dall’Arredo-casa (13 miliardi) e dall’Alimentare-vini (11 miliardi). È, dunque, predominante il contributo dell’Automazione-meccanica-gomma-plastica, il cui ruolo è diventato negli anni sempre più rilevante. Ne è conferma la notevole crescita negli ultimi anni del peso della robotica.

Arte e cultura

Le imprese che costituiscono il Sistema Produttivo Culturale e Creativo italiano sono 416.080, corrispondenti a una quota del 6,8% su quelle complessivamente registrate nel nostro Paese. Rispetto al 2017, quando la quota era del 6,7% si è registrato un incremento nello stock dello 0,2%.

Si tratta, riprendendo la nomenclatura utilizzata in premessa, di 291mila imprese core (il 4,8% delle imprese italiane) e di un totale stimato di oltre 125 imprese creative driven (il 2,0% delle imprese italiane). Ma la cultura ha un effetto moltiplicatore, pari a 1,8, sul resto dell’economia: per ogni euro prodotto dalla cultura se ne attivano 1,8 in altri settori. I 95,8 miliardi, quindi, ne ‘stimolano’ altri 169,6 per arrivare a 265,4 miliardi prodotti dall’intera filiera culturale, il 16,9% del valore aggiunto nazionale, col turismo come primo beneficiario di questo effetto volano. Un effetto competitivo confermato anche dal fatto che le aree geografiche dove maggiore è il fatturato della cultura sono anche quelle dove è forte la vocazione manifatturiera.

Redazione