Lo stile di management di un’azienda si esprime attraverso le modalità con cui vengono gestite le attività, prese le decisioni e organizzate le unità di business. Il tessuto produttivo italiano ha dimostrato, anche lo scorso anno, una rapida capacità di adattamento, dovuta tra l’altro alla flessibilità delle realtà a gestione famigliare, in cui i processi decisionali e la vision dell’imprenditore orientano l’organizzazione.
Quanto evidenziato dai manager intervistati da Wyser, il brand globale di Gi Group che si occupa della ricerca e selezione di profili middle e senior management, ne è la riprova: se 2 su 3 dicono che la propria azienda ha gestito la crisi sfruttando tutte le risorse disponibili, il 22,9% evidenzia come questa abbia deciso di investire in nuove tecnologie e il 21,9% di differenziare il proprio business. Scelte strategiche che richiedono processi decisionali rapidi e una capacità di adattamento tipica delle realtà imprenditoriali italiane.
Ma lo scoppio della pandemia ha anche fatto emergere la necessità di sviluppare e integrare nelle organizzazioni competenze che rispondano alle nuove esigenze dell’impresa e anche del contesto mutevole in cui si opera.
A detta dei manager coinvolti nello studio di Wyser, adattabilità (50%), leadership (46,9%) e decision-making (41,7%) sono quelle skill che maggiormente servono nella propria azienda per affrontare la situazione attuale. Inoltre, è da sottolineare come le competenze digitali, che sicuramente sono cruciali anche per le figure manageriali, siano però ritenute dagli intervistati secondarie rispetto a quelle skill comunemente dette soft e che facilmente possono essere ricondotte a una figura imprenditoriale.
Caratteristiche queste che contraddistinguono l’operare dei grandi imprenditori e che sempre più, come registra Wyser nella sua attività di ricerca e selezione, vengono richieste anche ai manager. Non è quindi un caso che le famiglie imprenditoriali si trovino oggi di fronte alla grande sfida della managerializzazione, che coinvolge da una parte l’organizzazione, la sua cultura e i processi e dall’altra anche lo sviluppo manageriale che deve integrare il rigore di questo ruolo con la creatività, la visione e la gestione del rischio che invece appartengono all’imprenditore.
Se, da un lato, sempre più i manager si concentrano (e lo hanno fatto anche nei periodi di lockdown) sullo sviluppo delle proprie capacità comunicative (48,1%) e di leadership (31,5%), dall’altro lato è necessario che anche l’organizzazione si impegni per favorire il career development dei suoi manager o l’inserimento di nuovi in questa direzione. Come? Quasi due manager su tre (63,1%) ritengono che il coinvolgimento nelle decisioni di business e strategiche sia la base per incentivarli ad avere una mentalità più imprenditoriale. Seguono però anche la valutazione per obiettivi (21,2%) e una certa libertà di movimento (15,7%), cruciali per incentivare il manager e dargli fiducia nella sua crescita.
“Credo davvero che “managerializzazione” possa essere la parola chiave, quasi un mantra nel processo di crescita delle aziende che, oggi più che mai, si muovono in uno scenario cosiddetto VUCA, cioè fortemente caratterizzato da volatilità, incertezza, complessità e ambiguità – commenta Carlo Caporale, Amministratore Delegato di Wyser Italia – Le aziende che fanno capo a famiglie imprenditoriali, di cui il nostro tessuto produttivo è ricco, riescono a rispondere meglio di altre alla necessità di modificarsi e reagire rapidamente ai cambiamenti proprio per questa vicinanza tra l’imprenditore e le parti più operative. La flessibilità ha però bisogno di essere disciplinata e, in questo senso, la condivisione delle responsabilità con il management può portare un valore aggiunto importante in termini di professionalizzazione e di pensiero strategico, anche grazie all’esperienza del manager in diversi settori e spesso in multinazionali. Se questo processo richiede un’apertura dell’organizzazione e una revisione della cultura interna, dall’altra parte i manager con cui noi ci relazioniamo devono essere capaci di farsi “imprenditore”, divenendo professionisti ai quale sempre più è richiesto di portare all’interno dell’organizzazione una sintesi di rigore e creatività e di farsi carico della diffusione a tutti i livelli della cultura e dei valori aziendali”.