Con il 75% del mercato, Fondirigenti è il primo fondo interprofessionale per i dirigenti in Italia. Vi sono associate circa 14mila imprese, che rappresentano 80mila manager. L’azione di Fondirigenti, in coerenza con le indicazioni del Comitato Promotore e del Piano Nazionale Industria 4.0, si è focalizzata sulla promozione delle condizioni di contesto e sulla formazione per la transizione dall’analogico al digitale delle imprese e dei manager.

Carlo Poledrini (nella foto sopra), presidente di Fondirigenti, abbiamo chiesto come l’organizzazione da lui presieduta intende contribuire al rinnovamento qualitativo, all’innovazione e allo sviluppo della formazione manageriale nel nostro Paese.

Da un paio di anni il sistema produttivo italiano ha a disposizione degli utili strumenti per affrontare la sfida dell’Industria 4.0 (iper e super ammortamento ecc.). Oltre al rinnovo del parco-macchine, però, la sfida del 4.0 si combatte soprattutto sulla valorizzazione del capitale umano, sulla formazione. A che punto siamo in questo senso, secondo lei?

C’è ancora molta strada da fare per rendere effettiva la transizione dall’analogico al digitale. Il gap di competenze rimane consistente. Le più recenti ricerche, come quella promossa dall’Università di Padova nel 2018 su un panel di top manager, ci ricordano che più del 50% dei dirigenti intervistati denuncia la mancanza di competenze e la difficoltà a quantificare i benefici che possono derivare dagli investimenti in tecnologie e modelli 4.0.

Il ruolo del management è fondamentale per interpretare e gestire il cambiamento: non servono solo competenze digitali (dalla privacy, ai big data, fino alla cybersecurity) ma anche nuove competenze nella gestione dell’innovazione di tutti i processi aziendali.

Per questo Fondirigenti, il fondo promosso da Confindustria e Federmanager per la formazione manageriale, è stato il primo ad investire risorse specifiche sull’informazione e la formazione per Industria 4.0. Nel biennio 2016/2017 abbiamo stanziato circa tre milioni di euro in iniziative strategiche finalizzate alla diffusione della cultura della digitalizzazione e all’avvio dei Digital Innovation Hub, con oltre 20 progetti in 10 regioni italiane. Abbiamo, inoltre, promosso avvisi per il finanziamento di piani formativi su Industria 4.0 per 16 milioni di euro con importanti risultati: 2.500 dirigenti coinvolti, 1.100 piani approvati, 180 mila ore di formazione. Attualmente, con l’Avviso 2/2018, sono a disposizione delle nostre imprese altri 12 milioni per la formazione su temi di grande rilevanza come: Cyber security e Data protection; Digitalizzazione dei processi organizzativi e/o produttivi; Internazionalizzazione; Credito, sostenibilità e investimenti; Project management per la gestione dell’innovazione.

Dal suo punto di vista privilegiato, in quali settori siamo messi meglio quanto a formazione e preparazione del capitale umano e in quali, invece, si riscontrano le maggiori carenze?

A Fondirigenti aderiscono circa 14mila imprese per 80mila dirigenti, appartenenti in larga parte, ma non esclusivamente, al settore industriale. Le differenze tra i settori non sono così significative, specie se si parla di management e dipendono invece dalla dimensione aziendale. Le PMI hanno maggiori difficoltà ad investire in formazione rispetto alle grandi imprese anche a causa del peso della “burocrazia”. Come Fondirigenti, riteniamo fondamentale investire nella managerializzazione delle piccole e medie imprese. Per questo, offriamo strumenti semplici a supporto della formazione, come il conto 24, che permette di ottenere finanziamenti on-line in sole 24 ore se si hanno meno di tre dirigenti. Ma facciamo molto di più. Dal 2016 abbiamo consentito alle PMI di ottenere fino a 15mila euro di finanziamenti con i nostri avvisi. Questa misura è risultata particolarmente indovinata tant’è vero che abbiamo ottenuto più del doppio di richieste di finanziamento, aumentando la platea degli enti formativi. Possiamo dire di aver contribuito ad accrescere la qualità e la concorrenza nel mercato, spostando il focus dall’offerta alla domanda di formazione.

Quali sono le competenze per le quali le aziende richiedono più percorsi formativi?

Le nostre aziende hanno dimostrato un forte interesse nella formazione sui temi di Industria 4.0, ma non solo. Gli ambiti prioritari di investimento formativo riguardano questi asset: Digitalizzazione e impresa 4.0; Internazionalizzazione; Sostenibilità; Credito e finanza; Project management per la gestione dell’innovazione. Nel complesso, si riscontra una domanda di formazione particolarmente attiva e crescente. Ad ogni nuovo avviso registriamo richieste di finanziamenti mediamente pari al 150% degli importi stanziati. Ciò rende necessaria una maggiore selezione e garantisce una qualità superiore dei piani formativi.

Le nostre imprese sono soprattutto piccole e medie e spesso la loro ridotta dimensione ostacola efficaci percorsi di innovazione e i necessari investimenti in formazione. Come si potrebbe agevolare una virtuosa collaborazione tra i pochi grandi driver presenti nel nostro paese e la stragrande maggioranza di pmi, in modo da diffondere know-how e best practices?

Bisogna favorire la nascita di piattaforme di scambio di know how e best practices. Su questo fronte le tecnologie digitali offrono grandi possibilità. Serve il coinvolgimento attivo di tutti gli attori del sistema, comprese le parti sociali, per rendere efficace la messa in rete delle informazioni. Per Fondirigenti questa è una priorità. Un esempio è il progetto Ricomincio da 4 (https://ricomincioda4.fondirigenti.it/), promosso da Fondirigenti e Federmeccanica, che si propone di diffondere conoscenze e buone pratiche su Industria 4.0 a vantaggio dei manager e delle imprese, specie di quelle di minori dimensioni.

C’è poi il tema delle “reti di impresa”, che in Italia sono quasi 5mila. Il loro sviluppo potrebbe essere di grande aiuto per agevolare la messa a fattor comune di esperienze e competenze, grazie al necessario supporto di figure manageriali dedicate (come il Manager di rete) in grado di garantire efficacia ed efficienza nella gestione dei network ma anche di fornire una possibile risposta al problema del passaggio generazionale.

Anche il passaggio generazionale, soprattutto nelle piccole imprese, spesso a gestione “familiare”, può rallentare il percorso verso la trasformazione digitale e l’adeguamento del management alla sfida dell’Industria 4.0. Secondo lei è possibile che le nuove generazioni di imprenditori/manager possano “svecchiare” le nostre imprese? E, se sì, in che modo si può agevolare lo scambio di conoscenze e competenze tra gli “anziani” e i “giovani”?

Il tema del ricambio generazionale è cruciale e va visto da due angolazioni. Dal lato dei silver workers, che aumentano sempre più con l’invecchiamento della popolazione, e che possono e devono avere maggiori occasioni per mettere a sistema l’enorme patrimonio di competenze ed esperienze che posseggono. Dall’altro, ci sono le giovani generazioni che rappresentano il futuro. Giovani generazioni che hanno enormi potenzialità ma che vanno aiutate nel processo di inserimento in azienda. Il reverse mentoring, ad esempio, è un modo “smart” per realizzare lo scambio di competenze tra senior e junior, specie se pensiamo ai temi dell’innovazione. E’ una modalità formativa che giova, sia a chi ha più esperienza per apprendere le nuove skill digitai, sia ai giovani che ricevono dai senior preziosi insegnamenti sulla gestione aziendale.

Il nuovo Governo si è da poco insediato. Quali provvedimenti si augura possano essere presi in tempi rapidi per aiutare ancor di più la trasformazione digitale delle nostre imprese? E quali confermerebbe/rafforzerebbe tra i provvedimenti presi dal precedente Governo?

Bisogna continuare la strada intrapresa con il Piano Industria 4.0, dandone piena attuazione, specie sul fronte del know how necessario a gestire la transizione: dai competence center ai Digital Innovation Hub. È poi necessario potenziare il raccordo con tutti i soggetti che hanno contribuito alla prima fase (tra cui i Fondi interprofessionali) per trovare soluzioni ottimali anche sul fronte informativo che resta quello prioritario insieme alla formazione.

Di recente lei ha dichiarato che “è necessario rivedere strutturalmente la legge istitutiva dei fondi interprofessionali (legge 388/2000)”. Per quale ragione? E in che senso andrebbe rivista la legge?

L’aumento del peso burocratico sui fondi ha comportato un costante aumento di risorse destinate a queste attività e ha reso il sistema meno fluido. Bisogna lavorare per ridurre il tasso di burocrazia. Fondirigenti nel corso degli anni è riuscita a rimanere coerente con lo spirito di servizio a manager e imprese voluto dai soci promotori, riuscendo ad essere in linea con le previsioni della normativa, compreso il famigerato tetto del 4% alle spese di gestione.

La revisione della legge istitutiva dei Fondi dovrebbe rispondere a una serie di priorità: superare la regolamentazione che trasforma i Fondi in mere stazioni appaltanti con l’applicazione del codice degli appalti; sviluppare processi di auto-regolamentazione che salvaguardino l’operatività e le specificità dei Fondi; garantire trasparenza ed efficienza nella gestione delle risorse e elevati standard qualitativi; potenziare i meccanismi di coordinamento con gli attori pubblici centrali e regionali.

Le recenti linee guida ANPAL sono una condizione necessaria, ma non sufficiente, a garantire un’azione sinergica dei vari attori.

A quasi vent’anni dalla loro istituzione, secondo lei, qual è il bilancio dell’attività dei fondi interprofessionali?

I fondi sono un esempio positivo della partnership tra privati (le parti sociali) nel perseguimento di un interesse pubblico, come la formazione professionale. L’ultimo Rapporto ANPAL sulla formazione continua ci dice che sono quasi 950mila le imprese private aderenti ai fondi, per oltre 10,6 milioni di lavoratori con un trend in costante crescita. Pur tra mille difficoltà burocratiche, dovute come detto a una regolamentazione in progress, i fondi hanno dimostrato di saper rispondere in modo veloce ed innovativo alle esigenze di imprese e lavoratori, questo in virtù della loro vicinanza ai fabbisogni del mondo produttivo.

Da non dimenticare l’aspetto finanziario. Il sistema dei fondi interprofessionali è finanziato dallo 0.30% del monte salari degli occupati destinato alla formazione, una percentuale quasi risibile rispetto a quella dei partner europei. Inoltre, i fondi continuano a subire il prelievo forzoso delle risorse da versare al bilancio statale. È infatti ancora operativa la norma introdotta dalla legge di Stabilità 2015 che ha imposto un dirottamento dei fondi per la formazione professionale in nome delle esigenze di fiscalità generale, prevedendo che il contributo dello 0,30% passasse allo 0,19%. Ciononostante i Fondi sono riusciti a garantire servizi efficaci ai propri aderenti. Per il futuro ci auguriamo che questa decurtazione possa essere recuperata.

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