A partire dallo scoppio della pandemia di Covid-19 le aziende non hanno potuto fare altro che rivedere profondamente il proprio metodo di lavoro, con dei cambiamenti improvvisi e, per certi versi, traumatici. Questa stessa crisi sanitaria, che ha portato le aziende a ripensare sé stesse in via emergenziale, dà però anche la possibilità tutt’altro che scontata di reinventare in modo radicale i propri modelli di lavoro, per aumentare la produttività e il benessere nello scenario “new normal”. Ed è proprio sugli sforzi che le aziende stanno effettuando in tal senso che si è concentrata la ricerca Global Human Capital Trends 2021 di Deloitte, ovvero “The social enterprise in a world disrupted”.
Prima dello scorso marzo, solamente il 6% dei dirigenti a livello internazionale (il 3% in Italia) prevedeva un impegno da parte della propria azienda nella pianificazione della risposta a eventi improbabili e di alto impatto. Oggi, e quindi dopo il diffondersi della crisi sanitaria, questa stessa fetta è cresciuta fino a raggiungere il 17% a livello internazionale, e il 19% in Italia. Di più: il 47% dei dirigenti a livello globale ha anche specificato che le rispettive realtà aziendali si stanno muovendo per adottare delle strategie multi-scenario, per ridurre al minimo la possibilità di farsi cogliere impreparati in futuro, nell’eventualità di ulteriori eventi eccezionali e non prevedibili.
Ma quali sono gli elementi sui quali un’azienda dovrebbe puntare per poter affrontare in modo efficace, rapido e idoneo le criticità future, e quindi ad oggi sconosciute?
Stando al 78% dei dirigenti italiani e al 72% dei dirigenti a livello internazionale, la priorità risiederebbe nella capacità dei dipendenti di adattarsi, di riqualificarsi e di assumere nuovi ruoli in risposta ai mutamenti esterni.
Come ha spiegato Drew Keith, human capital leader di Deloitte, «le questioni relative al capitale umano non sono più relegate unicamente alle risorse umane. Durante i momenti di crisi come quello che stiamo vivendo, il futuro delle aziende è determinato anche dalla capacità della forza lavoro, in particolare sono cruciali la collaborazione, creatività, giudizio e flessibilità dei dipendenti» aggiungendo che «sempre più aziende in Italia si concentrano sulla riprogettazione del lavoro puntando su strategie che facciano emergere il potenziale del singolo, mantenendo un occhio di riguardo al benessere sul posto di lavoro».
«Per prepararsi ad affrontare al meglio le criticità future molte aziende stanno intensificando l’impegno sul lato delle attività di upskilling e reskilling» spiega Carola Adami, co-fondatrice della società italiana di head hunting Adami & Associati «mentre dal punto di vista dell’acquisizione di nuovi talenti è andata crescendo l’attenzione riservata alla capacità di adattamento dei candidati.
Le aziende più oculate stanno infatti dando maggiore peso alla flessibilità dei dipendenti, e più precisamente alla loro capacità di leggere il contesto e, in base a questo, di andare oltre il consueto, modificando quando necessario le proprie abitudini. Insieme alla capacità di adattamento» sottolinea l’head hunter «un’altra soft skills che ha guadagnato importanza in questi mesi è la resilienza, intesa come capacità di non arrendersi e non farsi sopraffare dalle novità, ma anzi di trarre insegnamento da ogni nuova evenienza, anche e soprattutto dalle avversità».