È ormai opinione diffusa e condivisa che l’Intelligenza Artificiale sia una vera e propria ‘rivoluzione’, un cambiamento epocale. Andrew Ng, professore e ricercatore nel campo dell’AI, oltre che co-fondatore di Google Brain, sostiene che l’AI sarà la nuova elettricità perché si tratta di una tecnologia pervasiva e onnipresente che alimenterà in maniera invisibile molte delle nostre attività quotidiane senza che ci rendiamo effettivamente conto della sua presenza. È chiaro che si tratta di dichiarazioni che vogliono creare un certo clamore attorno ad un argomento molto attuale. Tuttavia, anche mettendo da parte le iperboli, è innegabile che con l’AI siamo entrati in una nuova fase storica: dopo aver vissuto un’epoca in cui la tecnologia aveva l’obiettivo di automatizzare il lavoro manuale, stiamo attraversando una fase in cui, con l’ausilio di modelli matematici e software, si vuole automatizzare l’intelletto e le capacità cognitive.
Una accelerazione straordinaria
Ma perché a distanza di quasi 80 anni dalla sua nascita, oggi l’AI irrompe con così tanta forza nel dibattito dell’opinione pubblica?
Evidentemente si tratta di un game changer la cui straordinaria e rapida diffusione è legata alla concomitanza di una serie di elementi convergenti e interdipendenti tra di loro.
- La disponibilità di stoccaggio di masse enormi di dati e la crescita straordinaria della capacità computazionale garantita dal Cloud.
- La concentrazione degli investimenti in un periodo di tempo ridotto ed il conseguente rilascio di nuovi algoritmi generativi. A pochi mesi dal rilascio di ChatGPT secondo i dati dello ‘Stanford Institute for AI’ sono state complessivamente 34 le piattaforme di AI lanciate sul mercato. Dopo Chat GPT sono arrivate: Google Bard, Bing Chat (Microsoft) e anche Meta (Facebook) ha lanciato una sua piattaforma (LLaMa).
- La facilità d’uso, un elemento che può sembrare apparentemente minore è invece decisivo. L’immediatezza e il carattere ‘user friendly’ dell’AI determina il carattere pervasivo di queste tecnologie e la loro diffusione non solo tra gli esperti ma anche a livello di persone comuni.
In base ai risultati della ricerca KPMG CEO Outlook 2023 che sonda l’opinione di circa 1300 Amministratori Delegati di grandi aziende globali, il 70% dei business leader sta pianificando importanti investimenti sull’AI per i prossimi 3 anni, nella convinzione che questa tecnologia possa automatizzare attività ripetitive e time consuming consentendo di liberare il potenziale produttivo del capitale umano su attività a maggior valore aggiunto.
Gli impatti sui modelli operativi
Nelle aziende l’AI sta diventando il motore universale dei processi di trasformazione
L’AI diventerà sempre di più il cuore del modello operativo delle imprese. Si tratta di un salto culturale e cognitivo che ridisegna il modo di operare delle imprese e ne ridefinisce l’impatto su mercati e consumatori. Se prima dell’AI lo sviluppo della tecnologia era in qualche modo associato alle architetture organizzative e di processo, l’AI tende a rompere i tradizionali silos funzionali e diventa il motore pulsante che attraversa tutta l’organizzazione.
Se nelle aziende tradizionali all’aumentare della dimensione aumenta la complessità e diminuisce la qualità, nelle aziende ‘AI driven’ si verifica l’opposto: all’aumentare della scala e del numero di utenti serviti, aumentano anche i dati generati e conseguentemente migliora la qualità degli algoritmi e degli output e, dunque, del livello di servizio reso ai clienti.
Grazie al machine learning si innesca un circolo virtuoso: più dati portano ad un potenziamento della capacità di apprendimento, che a sua volta porta a migliori prodotti e servizi. In questo modo si determina, almeno potenzialmente, un nuovo modello di creazione di valore. Tutto questo avviene incessantemente. I processi AI-driven abilitano ed ampliano lo scope (la varietà) del business aziendale perché generano una ramificazione continua di connessioni con altri business, creando enormi opportunità di apprendimento e di sviluppo. Conseguentemente, con l’aumentare dell’interazione l’AI sviluppa anche una conoscenza sempre più mirata degli obiettivi aziendali per cui genera insight sempre più precisi, affidabili e accurati a supporto dei processi decisionali.
Gli impatti sui modelli di leadership
L’introduzione dell’Intelligenza Artificiale in azienda ha anche delle implicazioni profonde anche sui modelli di management e di leadership. L’idea di management come supervisione di compiti routinari (command & control) tenderà sempre di più a scomparire. Nel nuovo ambiente digitale i manager sono sempre di più dei designer chiamati a dar forma all’ecosistema digitale e alla richiesta di nuovo valore che arriva dai clienti e dal mercato. I manager saranno sempre di più delle figure in grado di integrare connessioni tra loro distanti e disparate, con una visione complessiva del business. Devono essere sempre di più anche degli innovatori, in grado di anticipare i grandi trend di cambiamento indicando una direzione. Per questo occorre un nuovo pensiero manageriale in grado di creare ‘intelligenza collettiva’. Questo implica una capacità di leadership che deve essere proiettata anche al di fuori dell’azienda, nell’ambito di ecosistemi ‘allargati’ per la creazione di valore.
Molti schemi manageriali saranno sempre più incorporati nel software. In questo scenario le persone continueranno ad avere un ruolo importante nella catena del valore se sapranno fornire il proprio contributo intellettuale nella fase iniziale di inserimento degli input e nella fase finale di decisione sulla base degli output prodotti dall’algoritmo. Mentre le fasi centrali, di elaborazione e computazione dei dati, saranno sempre di più completamente affidate alle macchine.
L’AI in azienda: un possibile roadmap
Le implicazioni dell’AI per le aziende sono, dunque, enormi. Ma come è possibile realizzare concretamente questo percorso di trasformazione? Esiste un’ampia e autorevole letteratura che analizza i casi di prestigiose aziende che con successo hanno reso l’AI il sistema operativo che guida i processi aziendali (MyBank, Moderna, Alibaba sono solo alcuni dei casi più emblematici).
Nel nostro ruolo di consulenti, tuttavia, ci confrontiamo quotidianamente con imprenditori e manager e ci rendiamo conto come questo percorso nella realtà sia piuttosto articolato e complesso, soprattutto per le aziende di medie dimensioni che non dispongono dei budget di spesa delle grandi corporation. Mancanza di adeguate competenze interne e difficoltà a reperirle sul mercato, budget limitati, scarso commitment del top management, resistenze al cambiamento, complessità tecnica e relativi problemi di sicurezza informatica sono le principali barriere che lo possono ostacolare.
Secondo una stima di Forrest Research 7 progetti di AI su 10 non hanno prodotto ritorni significativi sul business. Siamo quindi convinti che, aldilà degli slogan, in un contesto come quello italiano il percorso verso l’adozione diffusa dell’AI sia ancora lungo, e che a tal fine servano forti competenze manageriali e un solido approccio multidisciplinare.
La definizione di chiari obiettivi
Le aziende devono innanzitutto maturare una visione strategica dell’AI come sfida/impatto verso il modello di business. Questo vuol dire definire chiaramente quali obiettivi l’azienda intende perseguire con l’ausilio dell’AI (efficienza interna, riduzione dei costi operativi, miglioramento della qualità di prodotto e del livello di servizio, personalizzazione dell’esperienza di acquisto, ecc.), come utilizzarla per acquisire un vantaggio competitivo sostenibile, quali partnership strategiche sviluppare superando le tradizionali logiche della specializzazione settoriale e aprendosi a collaborazioni con nuovi business partner.
L’integrazione dell’AI nei processi esistenti
Il passo successivo è scendere di livello e riprogettare l’organizzazione e il modello operativo per integrare l’AI nei processi esistenti. Questo vuol dire ridisegnare i flussi operativi per trarre vantaggio dalla velocità di esecuzione o dagli algoritmi di apprendimento dell’AI. In questa fase l’AI non deve essere vista solo come uno strumento di automazione e quindi di sostituzione delle attività umane, quanto piuttosto un potenziatore che mette a disposizione competenze e capacità computazionali altrimenti non disponibili. Anche l’organizzazione dovrà essere rivista prevedendo team trasversali che superano le logiche della specializzazione funzionale, lavorano in modalità agile e sono aperti a collaborazione con partner esterni in ottica di open innovation.
La necessità di una tecnologia modulare e scalabile
Un modello operativo AI-Driven per poter funzionare ha bisogno di dati e di un’architettura tecnologica che sia modulare e scalabile. È forse questo l’elemento che aggiunge maggiore complessità, soprattutto per quell’aziende che non hanno le stesse capacità di investimento delle Big Tech o delle grandi Corporation. La tecnologia ha certamente fatto grossi passi avanti tanto è vero che oggi è possibile accedere a capacità di storage di dati e potenze computazionali enormemente più elevate a costi molto più contenuti che in passato. Non siamo, però, ancora nelle condizioni di poter dire che l’AI possa essere introdotta nelle aziende velocemente e con costi contenuti. Definire una data strategy, integrare in un’unica data platform i diversi sylos di dati dipartimentali, ricercare, certificare e integrare dati esterni non strutturati, sviluppare e addestrare algoritmi di AI e integrarli con le piattaforme applicative esistenti sono tutte attività che richiedono un adeguato impegno di risorse e competenze.
La gestione del fattore ‘umano’
Quando si introduce l’AI in azienda un altro importante aspetto da non trascurare è l’impatto sulle persone. Non bisogna infatti dare per scontato che le persone accolgano sempre con entusiasmo l’introduzione dell’AI. L’AI è un argomento molto polarizzante che, soprattutto in certe fasce di lavoratori, può generare il timore di perdere l’impiego. Per superare queste resistenze è necessario strutturare un adeguato programma di Change Management che miri a far capire come l’AI vada vista come uno strumento che aiuta le persone piuttosto che sostituirle e che, al tempo stesso, le motivi ad usarla per cogliere nuove opportunità. Serve quindi sviluppare una cultura digitale ed avviare un piano di formazione strutturato per accrescere competenze e consapevolezza nell’azienda. Su questo aspetto la prospettiva dei Millenials è differente. Da una ricerca effettuata da KPMG è emerso che l’AI è la tecnologia su cui i Millenials vedono più opportunità di sviluppo e quindi, se inserita tra le competenze chiave, può essere un importante strumento di attraction dei talenti. Non dimentichiamoci che i Millenials saranno presto i prossimi decision-maker perché entro il 2025 il 75% della forma lavoro globale sarà costituita proprio da loro.
La governance dei rischi
Nell’approccio che proponiamo ai nostri clienti un’attenzione particolare viene riservata alla governance e alla gestione dei rischi legati all’introduzione dell’AI. All’orizzonte si profilano importanti interventi normativi da parte del legislatore come, ad esempio, l’AI Act in discussione nel Parlamento Europeo. Questi interventi normativi obbligheranno le aziende che vogliono introdurre l’AI a dotarsi di modelli e strutture di governance per rendere i processi guidati dall’AI trasparenti e compliant. In ogni caso, indipendentemente dalle decisioni che verranno prese dal legislatore, le aziende devono comunque maturare la consapevolezza che l’AI, se da un lato offre enormi potenzialità, dall’altro rischia di esporre l’azienda a rischi reputazionali, etici, legali e informatici che vanno adeguatamente mitigati.
Conclusioni
Solo mettendo insieme tutti questi aspetti, strategia, modelli operativi, tecnologia, change management e governance, le aziende riusciranno a creare e offrire ai loro clienti delle esperienze personalizzate che sfruttano la potenza dell’intelligenza artificiale e il valore che è possibile estrarre dai dati. Il percorso per attuare questa trasformazione non è facile, ma le difficoltà e le complessità non devono essere usate come alibi per non investire. Ricordiamoci che nel mondo dell’AI esiste una curva di apprendimento e solo chi investe può ottenere un vantaggio competitivo.
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